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Noi, gli alberi e la storia di una capra con carrucola

Sandro Lagomarsini martedì 7 giugno 2016
Chi studia il mondo vegetale non può restare insensibile al fascino di molti suoi aspetti. Prendere l'ordine in cui si dispongono le foglie per catturare al meglio la luce solare. Immaginate la punta delle radici mentre si fa strada nella roccia con forza fisica e chimica. Osservate i modi di diffusione dei semi: portati dagli ombrelli leggeri del tarassaco, sparati dall'acetosella, pronti a uncinare le pellicce (o le vesti) di chi passa accanto alla bardana. E poi i fenomeni quasi giocosi: il movimento diurno del girasole, il ritrarsi delle foglie di “Mimosa pudica”, la fecondazione a ostacoli in “Ginkgo biloba”. Non si può negarlo: nel gioco di selezione e adattamento degli organismi vegetali, si sono attivati dei processi che appaiono “intelligenti”. Ma si può sostenere che le piante provino gioia o dolore, abbiano capacità di comunicare (al di là degli scambi chimici) o trasmettano energie “positive” per semplice contatto?A correzione e antidoto nei confronti di queste fantasie, vogliamo ricordare alcune pratiche storicamente collaudate. Al primo posto c'è la potatura delle piante da frutto. I ciliegi non ne hanno bisogno. Ma per molte altre specie la potatura è indispensabile per una buona produzione annuale. I castagni venivano regolarmente “rimondati” e se le gelate ripetute rischiavano di farli morire, una accensione di fuochi, con fiammate contro le piante, attivava le gemme secondarie per un nuovo rigoglio. Anche l'innesto può apparire una pratica violenta, ma il ceppo selvatico, più resistente, accetta solo particolari qualità di domestico. Mio nonno faceva mettere le radici a un rametto di limone dentro un recipiente pieno di terra: a tempo opportuno la “margotta” (o talea) veniva tagliata e trapiantata.Il salice pieghevole è il miglior materiale per legare i tralci fruttiferi della vite, ma lo si può ottenere solo da una annuale capitozzatura di “Salix alba”. La stessa operazione va fatta con il gelso, se si vogliono allevare i filugelli per la produzione della seta. I virgulti di castagno venivano fatti crescere piegati dai nostri vecchi, per ottenere eleganti bastoni dalla rotonda e stabile impugnatura. La Repubblica genovese inviava squadre di operai a “garbare” roveri e faggi nei boschi demaniali: le piante crescevano con la piegatura (il “garbo”) adatta a ricavarne i pezzi curvi per le navi. C'è infine un utilizzo della produzione vegetale che ha segnato per secoli molti paesaggi. Si tratta dell'uso del fogliame come foraggio. Nelle scene risorgimentali dipinte dai fratelli Induno (e anche dal primo Fattori) i pioppi hanno un innaturale tronco unico contornato da fogliame: sono il risultato dello “scalvo” annuale.Da frassini, cerri e carpini – anche sulle montagne – si ricavavano fascine di ramaglie che, fresche o essiccate, alimentavano capre e pecore. Con l'arrivo delle leggi forestali la pratica dello scalvo venne presa di mira e la “roncola” (lama dalla punta ricurva fissata su una lunga pertica) messa al bando. Le leggi non si erano accorte che nella “economia della frasca” c'era una grande saggezza. Le fascine secche e defogliate servivano per cuocere pane e ripieni nei forni casalinghi o comunitari; le piante cambiavano forma, ma restavano un capitale prezioso. La pressione delle guardie era talvolta assillante. Per questo Giovanni Armanino mise in atto una sua puntigliosa protesta. Tener libera la capra era proibito e lo stesso tagliare rami dal cerro antistante la casa. Così, quando un viandante era in vista, Giovanni, con una carrucola, faceva salire sul cerro la capra dentro una gabbia: nessuna legge proibiva alla capra di mangiare le foglie direttamente sull'albero.