I giovani sono la nostra terra sacra. Sento spesso questa frase, ma solo ieri forse ne ho compreso appieno il significato. Noi religiose presenti al Sinodo dei vescovi abbiamo invitato alcuni giovani per un pranzo: in aula siamo seduti negli stessi banchi, ma ci conosciamo poco, e allora cominciamo con il condividere la mensa. Così i giovani cominciano ad avere non solo un nome e cognome, ma diventano incontri, storie, racconti. Safa arriva dall'Iraq, si rivolge a Dio per la prima volta quando viene rapito e rischia di essere ucciso: non vuole lasciare la sua terra, vuole portare l'amore di Dio ad altri giovani. Oksana vive la realtà, in Russia, di una Chiesa che è minoranza, Yadira a Chicago aiuta le ragazze madri immigrate negli Usa. Altri giovani raccontano di storie di violenze in famiglia, del loro resistere, delle riconciliazioni e del loro impegno di prevenzione verso le nuove generazioni. Li guardo e li ascolto ammirata, la loro vita è spazio di salvezza, la loro fede è un appello alla conversione. Incontrarli è entrare in uno spazio sacro, fare esperienza di Dio.