Nobile e fragile, l'isola del tesoro di Capello
D'altra parte - questo avrei ricordato ai colleghi inglesi -
nell'affidarle l'organizzazione di quel Mondiale la Fifa doveva in un certo senso riparare antichi (presunti) torti accusati dalla Federazione di Sua Maestà. Per star sicuri, il più grande calciatore di quel tempo, Pelé, fu fatto fuori subito con un calcione e il Brasile non poté infastidire i padroni di casa. Questo avrei spiegato anche a Capello, da 48 ore in full immersion non solo per imparare la lingua ma anche per capire la fragilità storica della sua Nazionale. Il motivo va ricercato nello splendido «isolazionismo» dell'Inghilterra che ha accettato solo nel 1950 di confondersi con il resto del mondo, ma con ben poca fortuna lontano dalla Patria.
Nel 1930 aveva rinunciato di partecipare alla prima edizione in Uruguay, inventando la difficoltà di viaggiare oltremare in nave in assenza di linee aeree: s'erano scordati le glorie della regia marina britannica e di Sir Francis Drake. Nel 1934, in Italia, e nel 1938, in Francia, non potendo invocare problemi di viaggio, snobbò gli eventi per una disputa economica con la Fifa. Continuava a giocare con la Scozia, l'Irlanda e il Galles, bastandole d'essere regina del calcio britannico. Non a caso dopo la recente esclusione dagli Europei, patita ad opera della Croazia, la Federazione ha pensato di ripristinare il torneo interbritannico.
Nel frattempo, tuttavia, i numerosi successi dei più famosi club, dal Manchester United all'Arsenal, dal Liverpool al Tottenham, al Chelsea, hanno modificato la mentalità dei supporter più giovani che vogliono fortissimamente entrare a far parte del mondo, consolidando la fama continentale con un successo mondiale, planetario, indiscusso. Una fame di vittoria che li ha convinti a ingaggiare addirittura un italiano, perdippiù un "italianista" come Capello, prima visto come la negazione del calcio spettacolo, del quale ritengono di essere i migliori interpreti, oggi portatore delle loro irragionevoli speranze, visto che gli chiedono, la certezza di vincere il Mondiale 2010 in Sudafrica, magari in memoria del giovane giornalista/combattente Winston Churchill, fatto prigioniero dai Boeri nel 1899.
Il calcio, in Inghilterra, è una cosa seria e rappresenta la tipicità di un popolo che prima d'oggi non ha mai sentito il bisogno di vincere un Mondiale per sentirsi importante, potente, superiore. L'Italia, al contrario, ha sempre affidato al pallone, dal 1934 al 2006, dal fascismo alla democrazia, la ricerca di un ruolo da protagonista vittoriosa nei momenti più difficili della vita del Paese. Come nel 1973, quando, proprio con un gol di Fabio Capello, conquistò la sua prima vittoria in terra inglese. Quella sera, a Wembley, gli sportivissimi inglesi non applaudirono il trionfo dei "camerieri". Ancora inebriato da quello storico gol, sentii il popolo "nemico" cantare a squarciagola e, non capendone il motivo né le parole dell'inno, chiesi spiegazioni al vecchio amico Brian Glenville che nel suo slang toscaneggiante mi disse: «Stanno cantando l'inno della sconfitta. We are a Lot of Rubbish, siamo un mucchio di spazzatura... Ma tu non puoi capire...». Io no. Capello deve capirli, invece: di esser spazzatura non hanno più voglia. Buon lavoro, Fabio.