A fronte del crescente rifiuto e disgusto della politica da parte degli adulti e del disinteresse e dell'indifferenza da parte dei giovani, io vorrei fare l'elogio della politica: la vocazione più negletta, la professione più difficile, l'arte più nobile. Confortato in questo dalle voci di Atene, Gerusalemme e Roma: voci irriducibilmente diverse, che resistono all'approssimazione indecorosa, alla modernità deteriore, alla inattualità del presente. Perché chi vive separato dagli altri è o bestia o dio. Perché a chi governa per gli altri è assicurato un posto in cielo. Perché "politica" rimanda a polis, il luogo dove coabitano urbs e civitas, le pietre e gli uomini, e dove, con difficoltà e bellezza, prendono forma i linguaggi, i bisogni e gli interessi di tutti. Perché la Res publica, diversamente dalla res privata, mette al primo posto il bene comune (bonum commune). Perché chi non partecipa in nessuna forma alla vita degli altri rischia di affidare il destino comune ai peggiori. Perché l'appartenenza alla città celeste e al Regno di Dio non esonera dalla milizia quotidiana nella città terrena e nel regno di Cesare. Perché la politica precede l'economia, l'amministrazione, la tecnica. Incurante dell'opinione dominante (dóxa), essa si fonda sul "sapere scientificamente fondato" (epistéme).