No, questa non è la città della gioia
Non fatevi ingannare dalle strade a doppia corsia separate da lampioni coi pannelli solari. Niamey è una città presa in ostaggio dalla sabbia. Immaginate l'università che porta il nome di un luminare nell'uso civile dell'energia solare. Abdou Moumouni che, legato com'era al suo popolo, pianse il giorno del suo dottorato in Francia pensando agli innumerevoli fratelli africani che non avevano avuto la sua stessa sorte. Il pianto di Moumouni è adesso duplice. Il primo per l'Università che offende un nome che meriterebbe ben altro che mesi senza corsi e anni accademici senza fine. L'altro pianto è per l'irregolarità dell'erogazione dell'energia elettrica che, con oltre 40 gradi di temperatura, costringe i cittadini a una quotidiana sfida con la propria resilienza cardiaca. Provate ad ammalarvi e vedrete. Se avrete la fortuna di non incappare nell'ultimo sciopero del personale curante, potreste trovarvi con l'inevitabile panne allo strumento che provvede le ecografie e sarete inviati in una delle cliniche private gestite dal dottore incontrato all'Ospedale Nazionale. Nel caso di epidemie dovreste sperare che il vaccino prescritto non sia contraffatto e sostituito da placebo la cui efficacia è com'è noto problematica. Per fortuna la circolazione delle auto è stata resa più sicura dalla cintura di sicurezza ormai obbligatoria, quella alimentare, invece, non è a tutt'oggi ancora assicurata.
Non fatevi ingannare dalla promessa di arrivare puntuali al lavoro o all'incontro fissato la sera prima. Niamey è una città fondata sulla sabbia. Senza preavviso parte o arriva il Presidente della Settima Repubblica del Paese. Due ore prima del suo imprevedibile arrivo, o passaggio, le strade saranno ermeticamente chiuse e ogni rischio per l'incolumità del Presidente reso nullo. Così come l'inizio del lavoro al ministero e l'importante riunione dell'ultima organizzazione sbarcata nel campo umanitario che com'è noto, grazie alla sabbia prospera e si rigenera. I migranti, ad esempio, sono da tutti corteggiati, una volta fermati e resi inoffensivi. La salute, il ritorno libero al Paese di partenza, la sensibilizzazione sui rischi e le disavventure della migrazione, formazioni di arti e mestieri e, non ultimo, i loro diritti umani confiscati. Giornalisti, ricercatori, esperti, antropologi, religiosi, commercianti e cercatori d'oro, tutti uniti attorno ai migranti per consolarli e soprattutto addomesticarli. I rifugiati, poi, prescelti e salvati dal programmato e sostenuto inferno libico, sono portati nella sabbia di Niamey dove rimarranno mesi o anni prima di arrivare al paradiso che si prenderà cura di loro. Si è formata per loro da non molto, una città, che non è quella della gioia ma è fatta di casette prefabbricate, in legno e protette, naturalmente, da un muro di sabbia.
Niamey, maggio 2019