«E
non c'è scuola di canto che non sia indagare / i monumenti della nostra gloria: / così io feci vela sul mare e venni / alla sacra città di Bisanzio». Questi quattro versi di una delle massime poesie del Novecento, e di sempre, Navigando verso Bisanzio
, di W. B. Yeats, condensano una sapienza abissale: noi non possiamo cantare (quindi fare poesia, musica, ma anche ricordare, celebrare) se non rievocando i monumenti della nostra gloria: ognuno di noi ricorda e celebra i momenti gloriosi della specie umana. Nessun canto è solitario, anche se può accadere, e spesso accade, che resti magari a lungo inascoltato. Esiste una memoria, un canto universale, in cui tutti siamo concordi: quando l'ominide alzò lo sguardo dal suolo, scrutando l'orizzonte, per cercare oltre, e divenne bipede, quando imparammo a accendere e controllare il fuoco, quando piangemmo alla morte di un simile e lo seppellimmo, quando dipingemmo le prime immagini sulle pareti di una grotta. Anche chi nonconosce questi momenti della nostra storia, per mancanza di cultura in materia, inconsciamente li rivive: ed ecco che, ancora inconsciamente, sogna di riviverli eternamente, salpando verso un mondo di oro eterno. Non l'oro del valore materiale, ma quello che rappresenta, tornando a Yeats, "l'artificio dell'eternità".