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Némirovsky, tragedie in un romanzo postumo

Cesare Cavalleri mercoledì 3 dicembre 2008
«Sero te amavi, Némirovsky, sero te amavi». Questa parafrasi un po' irriverente esprime il rimpianto di molti di noi per il ritardo con cui in Italia abbiamo amato Irène Némirovsky scrittrice di prima grandezza morta a Auschwitz nel 1942, non ancora quarantenne. Ci voleva l'istinto editoriale quasi infallibile di Adelphi per tradurre nel 2005 quella Suite francese, uscita l'anno prima in Francia, dopo essere rimasta per sessant'anni nella valigia che Irène, avviandosi alla deportazione, aveva affidato alle figlie bambine e che Denise ed Élizabeth trovarono il coraggio di aprire solo agli albori del Terzo Millennio. Suite francese è il primo dei tre volumi che la scrittrice aveva in mente, ed è diventato un bestseller internazionale, sull'onda del quale Adelphi ha iniziato la pubblicazione delle altre opere di Némirovsky che avevano dato notorietà in Francia, prima della guerra, alla giovane scrittrice nata a Kiev nel 1903 e fuggita in Francia con la facoltosa famiglia allo scoppio della rivoluzione bolscevica. Nel catalogo Adelphi troviamo dunque il crudo David Golder, lo struggente Come le mosche d'autunno, l'inquietante I cani e i lupi, il cinico Jezabel, il breve La moglie di don Giovanni, il vendicativo (e straziato) Il ballo. Adesso viene ad aggiungersi Il calore del sangue, tradotto da Alessandra Berello, con una Nota dei biografi di Némirovsky, Olivier Philipponnat e Patrick Lienhart (Milano 2008, pp. 160, euro 11).
Anche questo, come Suite francese, è un romanzo postumo di cui si conosceva una prima parte nel dattiloscritto curato dal marito Michel Epstein, al quale Irène passava i suoi testi per batterli a macchina: può darsi che Michel abbia interrotto il lavoro quando la moglie venne arrestata dalla polizia, il 13 luglio 1942. Solo nel 2005 è stato trovato il seguito di una trentina di pagine manoscritte che completano il romanzo che peraltro, più che concluso, appare interrotto, ancorché di senso compiuto.
Questa volta non ci troviamo nell'ambiente dell'alta borghesia e della nobiltà ebraica, cosmopolita anche se in esilio, che l'autrice conosce per diretta appartenenza: siamo invece nella fonda campagna francese, a Issy-l'Évêque il paesino dove Irène era sfollata con la famiglia, e dove venne poi arrestata.
La voce narrante è quella del vecchio Silvio, scapolo che non ha fatto fortuna pur avendo girato il mondo, e che conduce vita solitaria nel piccolo paese. Riduce al minimo i contatti, anche con i parenti, ma non può sottrarsi a una festa di fidanzamento, per esempio, e comunque viene a sapere tutto quello che accade intorno a sé perché laggiù in campagna ciascuno sembra ermeticamente chiuso negli affari propri, ma tutti sanno tutto di tutti anche se, per evitare grane, preferiscono non darlo a vedere. Ma un fatto tragico, la morte del giovane marito di Colette, fa rivoltare la pietra che era stata messa sopra troppi segreti e, sotto, è tutto un brulichio d'insetti. Intanto: è proprio vero che il giovane sia accidentalmente caduto nel fiume attraversando il ponticello che pur conosceva così bene? E se fosse stato ucciso? Infatti è stato ucciso, e Colette non era la mogliettina tutta casa e famiglia come sembrava: aveva un amante, peraltro conteso dalla sfacciata Brigitte... e la coppia formata da Hélène e François, innamoratissimi genitori di Colette, non era così perfetta come pareva... e lo stesso narratore, alla fine, aveva i suoi segreti che invano aveva cercato di soffocare... insomma, dietro la facciata di perbenismo individualista ci sono orrori e colpe, tragedie e intrighi.
Némirovsky è abilissima nel disseminare indizi lungo la narrazione fino allo svelamento finale. Con straordinaria penetrazione psicologica scolpisce il carattere dei personaggi, immergendoli in un lirismo paesaggistico che rende ancor più acuti i contrasti. Un romanzo breve e "cattivo" che smaschera la malvagità umana, tanto più orrenda quanto più farisaica.