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Nelle ansie dei bambini le assenze degli adulti

Mariolina Ceriotti Migliarese giovedì 31 gennaio 2019
Qualche giorno fa l'inserto "Liberi tutti" del Corriere della sera dava spazio all'uso crescente di psicofarmaci, presentando il romanzo "Serotonina" di Michel Houellebecq, da poco pubblicato. Nel romanzo, la difficoltà di essere felice (non diagnosticata come depressione patologica, ma piuttosto come disagio esistenziale) viene curata dal protagonista con il ricorso massiccio agli antidepressivi, che riescono a rendergli almeno tollerabile il faticoso trascorrere del tempo.
L'articolo apre una finestra su una realtà diffusa e inquietante: la crescente difficoltà del mondo adulto di fare fronte all'ansia, alla tristezza e al dolore sviluppando risorse interiori e personali. Il lutto per una morte o un abbandono, la perdita del lavoro, le contrarietà esistenziali, generano sentimenti di ansia vissuti spesso come intollerabili, e l'uso delle categorie del linguaggio specialistico, indispensabile quando correttamente utilizzato, rischia di leggere le richieste di aiuto solo all'interno della patologia, che richiede interventi specialistici di cura. Tra questi, gli psicofarmaci rappresentano un supporto molto efficace, perché riescono a modulare rapidamente emozioni e sentimenti diminuendone l'impatto; proprio per questo però il loro uso può talvolta rappresentare una pericolosa scorciatoia nei confronti dei problemi complessi posti dall'esistenza, con le domande di senso che portano sempre con sé.
A valle di queste considerazioni, ciò che appare come ancora più preoccupante è l' aumento di richiesta che arriva alle Neuropsichiatrie Infantili per i disturbi legati all'ansia e alla depressione nei bambini e negli adolescenti, che si manifestano con attacchi di panico, fobie scolari e sociali, disturbi del sonno e dell'alimentazione, e che non di rado portano all'utilizzo di psicofarmaci. È come se gli adulti, divenuti incapaci di contenere e modulare le proprie emozioni, non fossero più in grado di fornire ai bambini il supporto che è loro necessario.
La creatura umana ha bisogno di una lunga gestazione: una gestazione fisica, che richiede di venire contenuti per nove mesi nel corpo di una madre, ma anche una lunga e complessa gestazione psichica, che richiede di venire contenuti nella mente di adulti capaci di proteggere, di orientare e di insegnare a leggere la complessa realtà che ci circonda, graduando il proprio intervento in funzione dell'età del bambino. Gli adulti naturalmente chiamati a questa responsabilità sono in primo luogo il padre e la madre, ma nel corso dello sviluppo questo compito riguarda tutta la generazione adulta: sia le persone più prossime al bambino (parenti, insegnanti) che quelle a lui più lontane. I figli di una generazione infatti sono in qualche modo i figli di tutti gli adulti che li accompagnano nella vita, ed è grazie a questo "contenimento psichico" anche culturale che il bambino acquisisce tra l'altro due competenze cruciali: quella di dare un senso alle cose e quella di regolare in modo efficace le proprie emozioni. Le acquisisce in modo progressivo, se per un tempo sufficiente gli adulti si assumono la responsabilità di proteggerlo: adulti che sanno rendere il suo mondo un luogo sicuro, che sanno calmarlo quando è spaventato, che lo riparano dagli stimoli che creano troppa paura o troppa eccitazione, che lo aiutano ad aspettare, che gli insegnano a tollerare un po' le piccole, inevitabili frustrazioni della vita. E che gli fanno sentire, soprattutto, che la vita ha un senso.
Ma gli adulti possono fare questo solo se ne comprendono il valore e l'importanza, tanto da poter mettere in secondo piano, se necessario, anche alcune esigenze di soddisfazione personale. In caso contrario i bambini rimarranno in balia delle nostre contraddizioni, che li lasciano esposti ad un'ansia che non sono in grado di gestire da soli.