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Nella «Messa glacolitica» di Janácek la forza primordiale della liturgia

Andrea Milanesi domenica 8 luglio 2012
La Messa Glagolitica è forse il punto di partenza migliore per entrare in sintonia con l'universo musicale di Leóš Janácek (1854-1928); si tratta di una delle ultime opere date alla luce dal compositore ceco, caratterizzata da un'impronta creativa di grande spessore e profonda maturità, ma anche dall'impeto positivo di una coinvolgente vitalità.Concepita tra l'agosto e l'ottobre del 1926, la partitura venne poi rivista dallo stesso autore pochi mesi prima di morire; il testo è in antico slavo ecclesiastico e il termine "glagolitica" intende proprio richiamare l'arcaica scrittura d'origine bizantina (anteriore alla "cirillica"), il cui alfabeto venne utilizzato intorno al IX secolo per tradurre la Bibbia e altri testi sacri.La partitura si struttura in otto movimenti che seguono fondamentalmente la successione delle sezioni dell'Ordinarium Missae, rispetto alla quale Janácek si è concesso qualche libertà di carattere strumentale, come testimoniano la cinematografica e spettacolare introduzione orchestrale (Úvod), il virtuosistico Postludium affidato all'organo e l'impetuosa Intrada finale. In questo imponente affresco sinfonico e corale trova espressione un nuovo germoglio, un virgulto di gioventù con cui l'ultrasettantenne musicista ha voluto esprimere l'intensità di una forza spirituale quasi primordiale che si sprigiona sin dalle prime battute della composizione, dove la fanfara di trombe e ottoni chiama a raccolta l'assemblea per partecipare al rito eucaristico.Su questo terreno si gioca la sfida interpretativa lanciata dal direttore Antoni Wit alla testa dell'Orchestra e del Coro Filarmonici di Varsavia e di un equilibrato quartetto di cantanti solisti (cd pubblicato da Naxos e distribuito da Ducale), mediante una lettura che rispecchia l'energia assoluta e la potenza «selvaggia» – come l'ha definita lo stesso Janácek – attraverso cui si celebra la dimensione trascendente dell'azione liturgica, tra i contrasti timbrici e ritmici che innervano i pannelli policromi del Credo (Veruju), ma soprattutto nel «grido di gioiosa impetuosità» con cui Janácek ha voluto imprimere il proprio sigillo sul Gloria (Slava), dirompente testimonianza di fede che inneggia al compimento della promessa di salvezza eterna.