Nella storia di Christian Albini l'ultima parola è alla speranza
Perché è la storia di un cristiano del nostro tempo: per la passione nel trafficare i tesori che trovava tra i pensatori credenti (Merton, Arendt, Bonhoeffer i più frequentati) e in sé stesso; per la fedeltà con la quale si è impegnato nella vita della comunità locale; per lo slancio nell'incontro con l'altro nella fede, per la mitezza che lo sosteneva nel proporre la sua visione senza delegittimare quelle altrui.
E anche per aver mostrato in sé stesso che, accanto a quelle tradizionali (le riviste, i libri, le conferenze...), anche la via digitale può portare comunicazione umana e feconda. Non sarà un caso se tanti, su Facebook e sulle rispettive fonti (diffusamente ripresi), in fretta si sono disposti a commemorarlo in Rete con tanto affetto: cito Giorgio Bernardelli su “Vino Nuovo”, Gianni Di Santo su “Famiglia Cristiana”, Fabio Colagrande su Radio Vaticana, per non dire di un tempestivo tweet di Enzo Bianchi: «Era un vero cristiano, mite, buono, paziente! Per me un amico consonante sempre!». Non sarà un caso se in queste “condoglianze” (un sostantivo da riqualificare) spesso chi scrive annota: «Ti ho conosciuto sul web, non di persona, ma... ». Con una nota di rimpianto che solo la speranza cristiana attenua.