Nella pasta italiana c’è più grano domestico
utti in difesa della buona pasta italiana. Così pare essere lo schieramento dei produttori agricoli di fronte alle difficoltà di mercato del grano duro e della filiera della pasta sottoposti agli scossoni dei mercati internazionali, agli effetti del clima non certo favorevole e, non ultimi, a quelli delle speculazioni ma anche delle necessità dell’industria di trasformazione. In attesa del “giusto prezzo” invocato pressoché da tutti, si inizia con maggiori controlli sulla materia prima in arrivo dall’estero. È quanto annunciato dal ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida. Si parte a metà novembre «sul grano duro che viene importato, sia nei porti di arrivo che nei luoghi di destinazione sul territorio, incentrato sulla qualità e sull’origine in termini di trasparenza», ha dichiarato il ministro aggiungendo: «Il Made in Italy è una garanzia di qualità e deve continuare ad esserlo». Tutto però è reso complesso dalle necessità produttive delle industrie di trasformazione, dalla quantità di materia prima prodotta in Italia e dalla chiarezza che occorre fare sull’origine delle farine utilizzate per produrre la pasta nazionale. Per questo Coldiretti non ha mancato di affermare subito come gli acquisti di pasta solo italiana siano cresciuti in valore del 13% nel primo semestre del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Oggi 4 pacchi di pasta su 10 (40%) venduti in Italia utilizzano esclusivamente grano duro coltivato sul territorio nazionale. Da qui, appunto, la necessità di verificare da dove arriva e soprattutto dove finisce il grano non italiano. Ma i produttori agricoli sollevano anche il tema del prezzo. I «compensi riconosciuti agli agricoltori sono scesi del 25% in meno rispetto allo scorso anno su un valore di appena 35 centesimi al chilo, mentre i prezzi di vendita della pasta sono in crescita al dettaglio del 13% nei primi nove mesi del 2023», denuncia Coldiretti. Una posizione condivisa anche da Confagricoltura che in una nota spiega come occorra «evitare speculazioni sui prezzi, controllare la catena del valore per riuscire a dare margine di reddito a tutti gli elementi della filiera e rafforzarne i rapporti». Mentre CIA-Agricoltori Italiani aggiunge la necessità di attivare anche verifiche interne con “Granaio Italia” l’iniziativa del registrato telematico di carico e scarico dei cereali attualmente rimandata al 2025 e di cui si chiede l’entrata in vigore già nel 2024: «Indispensabile in un contesto di fibrillazione dei prezzi delle materie prime e con l’aumento dei costi di produzione». Sulle speculazioni, e quindi sulla necessità di fare chiarezza per capire meglio, ha puntato il dito Confcooperative Fedagripesca. Rimane però il tema di fondo: la necessità di aumentare la produzione di grano duro italiano e di pagarlo meglio. Per questo i coltivatori vogliono estendere gli accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali, precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione. © riproduzione riservata