Nell'attesa di un abbraccio
In queste sere di confinamento, ho riascoltato il meraviglioso commento al comandamento dell’amore che Roberto Benigni ha fatto a conclusione delle serate televisive sui Dieci Comandamenti. Le sue parole le avevo già scolpite nella memoria, ma ho volute ascoltarle e riascoltarle come fossero un ritornello della sera che dispone alla calma della notte. Commentando il comandamento «amerai il prossimo tuo come te stesso», Benigni afferma con la sua passione poetica che, amando l’altro come noi stessi, diventiamo noi stessi la misura dell’amore per l’altro. Allora l’amore non solo è un dovere, ma anche un diritto. Poiché devo amare l’altro come me stesso, anche l’altro è obbligato in certo qual modo a farlo e ne segue come conseguenza che quel gesto posso pretenderlo. Benigni viene quindi ad affermare, in maniera suggestiva, che «dobbiamo essere abbracciati dall’abbraccio».
Ripetendo queste parole nella calma vesperale, mi sorge anche la domanda: quando torneremo ad abbracciarci? Il presidente del Consiglio Conte, dal canto suo, ha detto di avere pazienza e così potremo tornare a quei gesti di affetto che caratterizzano la nostra cultura. È in questo momento così delicato di distanziamento sociale, che ho capito il potere dell’abbraccio tra confratelli, tra amici e familiari. Un gesto diventato un po’ banale, eppure così vitale quando non è possibile praticarlo. Il pensiero è corso poi a momenti importanti della, nei quali l’abbraccio è fondamentalmente un segno, per esempio quando si entra in un ordine religioso, come il mio, quello dei Frati Predicatori o Domenicani. Dopo aver implorato la Misericordia divina, il superiore ti accoglie abbracciandoti e così poi fanno tutti i confratelli. Sul fronte “profano”, mi è sovvenuta l’importanza dell’abbraccio (abrazo) nel tango argentino così caro a Papa Francesco e ai suoi compatrioti. Non può esserci tango senza abbraccio, anzi l’anima di questa danza dimora in quell’abbraccio.
Quando torneremo allora ad abbracciarci? Quando, è forse prematuro dirlo, speriamo presto, ma quando sarà capiremo quel gesto così caro anche a Gesù. L’evangelista Marco (Mc 10,21) ci fa intendere che il giovane ricco è stato abbracciato da Gesù, poiché questi guarda il giovane e – dice il Vangelo – “lo amò”. Per mostrargli il suo amore, sicuramente Gesù ha avvolto nel suo abbraccio misericordioso quel giovane dal poco coraggio, incapace di liberare da tutti gli orpelli che lo tenevano ostaggio di sé stesso. Quando torneremo ad abbracciare, e ad abbracciarci, non potremo dimenticare il gesto di Gesù, non potremo dimenticare che dobbiamo essere abbracciati dall’abbraccio. E chi più di Dio può abbracciarci? Infatti, Dio è l’abbraccio stesso, Colui che lasciandoci perfettamente liberi ci mantiene con la sua mano forte. Proprio in questi istanti di isolamento, senza attenderne la fine, abbiamo l’occasione propizia di percepire chi sia questo abbraccio.