Nell'arte tutta la disumanizzazione dell'epoca moderna
Al di là di questo, il volume di Sedlmayr è fondamentale per capire alcuni aspetti del moderno e del postmoderno e vale la pena ripercorrerne lo sviluppo, quello di «uno spettacolo indicibilmente caotico che offre la pittura europea dei secoli diciannovesimo e ventesimo». A partire da Goya: le due serie dei Sogni e delle Follie, dominate dall'orribile e dal demoniaco, costituiscono una chiave decisiva per comprendere l'essenza dell'arte moderna. Se l'inferno era un tempo un luogo limitato all'aldilà, ora i suoi incubi diventano immanenti, «un pandemonio di spiriti immondi» che non sono solo una fantasia dell'artista ma una realtà che si può sperimentare. L'immagine più potente che esprime questa tendenza è quella di Cristo sul monte degli Ulivi, che fa parte dei Disastri della guerra e nel quale è raffigurato un uomo disperato in ginocchio davanti alle tenebre del Nulla. A sua volta, Caspar David Friedrich nelle sue opere rappresenta lo stato di abbandono totale dell'uomo, la sua solitudine estrema. Che dipinga la mortale rigidità del mondo dei ghiacci o navi e chiese in rovina, tutto diviene simbolo della nostalgia o del dolore per l'abbandono di Dio: «La croce da cui pende l'Uomo-Dio si erge nel silenzio indifferente della montagna».
Con le caricature di Daumier e Grandville l'uomo viene ancor più deformato e sfigurato. L'espressione dell'uomo si muta in una smorfia. Per arrivare a Cézanne, che rappresenta «il puro vedere», un mondo limitato all'esperienza che esclude per Sedlmayr ogni contenuto intellettuale o sentimentale. La strana calma vegetativa dei suoi quadri è in realtà una quiete priva di vita. Così l'arte di Seurat (l'uomo ridotto a manichino, marionetta, automa), di Matisse («la figura dell'uomo non avrà un'importanza maggiore che si dà a un disegno per carta da parati»), dei cubisti (l'uomo ridotto a un disegno costruttivo) e dei surrealisti («l'ultimo frettoloso passo verso lo sfacelo dell'arte»).
In questo suo affascinante tragitto, Sedlmayr è tutto preso dal suo assunto di «perdita del centro», la separazione del divino dall'umano che gli risulta inconcepibile, ma la sua posizione legata alla tradizione non gli impedisce di riconoscere lo splendore di quella che definisce arte luciferina e di cui vede i prodromi in Bosch e Brueghel. Non accetta però l'opinione di chi vede negli orientamenti moderni dell'arte una via che può condurre a nuove forme di arte spirituale. Il caos della nostra età espresso dall'arte contemporanea e la disperazione che egli denuncia sono pur sempre un anelito all'eternità.