Una foto, mille parole. Nell’Arca di Biasiucci la storia e le utopie dell’umanità
Torino, alle Gallerie d'Italia - Intesa Sanpaolo la mostra "Arca" di Antonio Biasiucci. Qui uno scatto della serie "Corpo ligneo", 2021
Dimenticate l’istante magico e l‘idea del fotografo che ruba il tempo e coglie l’attimo. La vera fotografia non si scatta, si compone nel tempo, passo dopo passo, come in un cammino. Con un diaframma che resta aperto a lungo, capace di raccogliere ogni particella di vita e di emozioni, di luci e di ombre che incontriamo nel nostro andare. Solo dopo arriva lo scatto. Davanti a un soggetto che è altro rispetto alla visione della folgorazione, ma che si riempirà magicamente di tutto quello che quell’istante ci aveva donato. L’istante in differita, ritardato, sedimentato. Sembra un paradosso, ma non per Antonio Biasiucci, fotografo nato nel 1961 a Dragoni, in provincia di Caserta, con una storia personale tutta in salita e che ha fatto della fotografia una «utopia»: «Quella di raccontare la storia degli uomini attraverso la fotografia». Quasi senza uomini. Lavorando sulle cose. Senza l’istante. Con una riflessione che «mette in relazione gli opposti, la luce e il buio, le origini e la catastrofe, la vita e la morte». «Sono convinto che non sia necessario avere sempre con sé la macchina fotografica per fare delle buone fotografie – dice con una semplicità disarmante Biasiucci, al tempo dello scatto continuo e del “fotografo (e mi fotografo) dunque sono” a cui ci hanno abituato i tempi e i ritmi dell’era social –: anzi, la macchina distrae, ti costringe a operare un’impegnativa scelta visiva e paradossalmente non ti fa vivere pienamente un’emozione. Per cui penso che non sia importante fotografare qualcosa che ti crei meraviglia, al contrario è meglio vivere profondamente ogni cosa per poi ritrovare quell’emozione nei soggetti con i quali hai scelto di avviare un confronto; in quegli scatti si riverseranno i sentimenti che hai accumulato e sedimentato nel tempo». Così anche un Corpo ligneo prende vita, «alberi divelti, caduti a causa di intemperie, suggeriscono memorie sulle archeologie del passato o del futuro», rimandano ad altre visioni mentre «cerco di restituire un senso a una perdita, a qualcosa che non c’è più». Diventa un'Arca che contiene un esemplare per ogni individuo, un’Arca con cui navigare nel mare e nella terra della vita, portare con sé tutta l’umanità incontrata.
Proprio Arca è il titolo della prima grande mostra antologica di Antonio Biasiucci, a cura di Roberto Koch, alle Gallerie d’Italia-Intesa Sanpaolo di Torino (fino al 6 gennaio), terzo capitolo del progetto “La Grande Fotografia Italiana”, avviato nel 2022 con la mostra di Lisetta Carmi e continuato nel 2023 con Mimmo Jodice per omaggiare i grandi maestri della fotografia del Novecento del nostro Paese. L'Arca che raccoglie tutti i magnifici lavori di Biasiucci. Poesia pura. Fotografie meditate che sommano infiniti istanti e sentimenti. Che provano a costruire una piramide di utopie, di possibili tasselli, di sogni. Koch ripercorre l’andare di Biasiucci e l’associa alla Nostalghia di Andrej Tarkovskij: «Quale antenato parla in me? Io non posso vivere contemporaneamente nella mia testa e nel mio corpo. Per questo non riesco a essere una sola persona. Sono capace di sentirmi un’infinità di cose contemporaneamente. Qualcuno deve gridare che costruiremo le piramidi, non importa se poi le costruiremo. Bisogna alimentare il desiderio dobbiamo tirare l’anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito».
Biasiucci tira l’anima da tutte le parti per costruire la piramide o se vogliamo il poema delle utopie. Cerca l’umanità in luoghi e cose inattese e sorprendenti. I temi ancestrali, come il sapere, la base dell’alimentazione o il cielo stellato scorrono – nelle 250 fotografie in mostra – con i suoi polittici, le sue sequenze e le opere singole. Così i volumi dell’archivio del Banco di Napoli che troviamo nella serie Codex, diventano, decontestualizzati, elementi architettonici, basamenti per nuove, possibili costruzioni; i Pani ripresi nel quotidiano lavorio delle mani appaiono come pianeti nell’universo, meteoriti che compaiono e scompaiono nel cielo; i ceppi di fusti tagliati nel bosco indicano il Ghenos, la discendenza di figure antropomorfe, tracce del nostro passato millenario. Questo stesso sguardo l’artista lo applica anche a contenuti di grande attualità, come il dramma dei migranti, cui si ispira la serie The dream, o il racconto della sala parto di Matany, in Uganda. Foto che dialogano, su tre monoliti, con le apparizioni inaspettate di Mimmo Paladino: i suoi disegni primitivi, i suoi numeri incisi nel nero dell’inchiostro, in un dialogo intimo con le immagini, sono forme immaginifiche e nel loro essere infiniti e anonimi ci parlano della molteplicità degli esseri umani (una sintesi perfetta di segni e foto si può sfogliare nel volume firmato dai due artisti, Tombola, Contrasto).
«Il nero profondo in cui spesso tutto è avvolto nelle fotografie di Biasiucci – scrive Koch nel catalogo che accompagna la mostra, edito da Gallerie d’Italia/Skira – richiede allo spettatore uno sforzo particolare, quello di lasciarsi trasportare dallo stupore per poter vivere e riconoscere il lampo primigenio, la sorgente, l’origine della vita che riconosciamo in forme che si rivelano dinamicamente in trasformazione. Se Biasiucci si arresta quando svela il mistero che avvolge un tema, un soggetto, si può allora forse dire che il vulcano resta una ricerca non risolta». Magma è la serie che raccoglie i lavori sui vulcani. «La mia collaborazione decennale con l’Osservatorio Vesuviano è stata fondamentale – racconta Biasiucci –. L’aver potuto lavorare sui vulcani attivi italiani con un gruppo di ricercatori e quindi in un confronto continuo con gli elementi primari, mi ha permesso di guardare le vicende degli uomini in un modo diverso e di essere meglio in grado di distinguere il fondamentale dall’effimero». Il Vesuvio, lo Stromboli, l’Etna. Sono il simbolo del mistero, del non risolto, del divenire. Qui abita l’inafferrabile, qui si vive l’attesa, si percepiscono i tremori dell’anima fino allo stupore dell’eruzione, con la sua meraviglia e le paure. La vita e la morte.
Il viaggio di Biasiucci è un viaggio dentro sé stesso che parla a ciascuno di noi. Con i suoi tempi. Con le sue domande. E la convinzione di essere tutti sotto un unico cielo, sulla stessa Arca. Sulle rotte dell’Utopia che dà una chance al sogno.
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