L'oratorio
Gioas di Johann Simon Mayr (1763-1845) ci riporta idealmente al cuore della stagione d'oro del melodramma italiano della prima metà dell'800; il compositore tedesco lo ultimò infatti nel 1823 (lo stesso anno in cui, con
Semiramide, Rossini chiudeva la straordinaria produzione sul suolo natio), nel periodo durante il quale i suoi lavori andavano in scena sui palcoscenici dei maggiori teatri del Bel Paese, dalla Scala di Milano alla Fenice di Venezia e alla Pergola di Firenze. A partire dal 1802 Mayr fu maestro di cappella presso la cattedrale di Santa Maria Maggiore a Bergamo, città in cui si dedicò con profitto all'insegnamento e dove ebbe come allievo anche Gaetano Donizetti), ma è nella capitale del Granducato di Toscana che diede alla luce L
'innalzamento al trono del giovane re Gioas – è questo il titolo completo della partitura – riadattando la musica dell'opera
I misteri eleusini (considerata da Stendhal uno dei massimi capolavori dell'epoca) per accompagnare la devozione liturgica delle Quarantore nella chiesa fiorentina di San Giovannino degli Scolopi; le vicende bibliche sulle quali è incentrato il libretto (in lingua italiana) sono liberamente ispirate a quelle raccolte nei
Libri dei Re e delle
Cronache, e offrono a Mayr l'occasione per realizzare un solido impianto formale di stampo drammaturgico in cui recitativi accompagnati, arie solistiche, pezzi d'insieme ed episodi corali concorrono a portare in scena il piccolo mondo delle passioni umane e il grande disegno del destino del popolo ebraico. Un maestoso affresco musicale riproposto nell'interpretazione del Coro dell'Opera di Stato Bavarese e dell'ensemble "Simon Mayr", diretti al clavicembalo da Franz Hauk e accompagnati da un quartetto di cantanti capitanati dal soprano statunitense Andrea Lauren Brown, sicuramente la solista più dotata e "nella parte", talvolta un po' trattenuta ma in splendida evidenza fra le screziature belcantistiche delle cavatine
Ombre amate e
Sommo clemente Dio (2 cd pubblicati da Naxos e distribuiti da Ducale): testimonianza esemplare dell'alto livello qualitativo raggiunto dal repertorio sacro italiano del XIX secolo e dei labili confini che lo dividevano dall'imperante dominio operistico.