Nel «Credo» di Penderecki la fede e il cammino del popolo polacco
Il compositore polacco (classe 1933) procede come se si trattasse di un racconto vero e proprio, enunciato attraverso i punti cardine della religione cristiana; di una narrazione chiamata a rappresentare l'intero popolo dei fedeli, ma anche la dimensione più intima di chi, come l'autore, è cresciuto all'ombra del regime comunista filo-sovietico e ha vissuto in prima persona il clima di terrore dell'era post-staliniana, tra repressioni e persecuzioni, per poi conoscere il cammino di riscatto verso la luce della libertà intrapreso grazie all'apporto decisivo della Chiesa e di chi la fede è riuscita a testimoniarla con l'esempio della propria esistenza (come non ricordare qui le straordinarie figure del cardinale Wyszynski, del beato Popieluszko o di Papa Wojtyla?).
In tal senso, mantenendo intatto l'impianto generale del testo sacro, il musicista è intervenuto con alcune aggiunte (tratte dall'inno Pange lingua, dai Libri dei Salmi e dell'Apocalisse) con l'intento quasi di personalizzare nel profondo un'opera attraversata da forti contrasti, sempre in bilico tra l'immediatezza del suo messaggio confessionale e la drammaticità dei richiami ideali alle vicende della storia. Ed è proprio nel difficile bilanciamento tra questi elementi costitutivi che poggia la lettura del Credo offerta da Antoni Wit " già allievo nella classe di composizione dello stesso Penderecki " dal Coro e dall'Orchestra Filarmonica di Varsavia, affiancati da un quintetto di cantanti solisti polacchi (cd pubblicato da Naxos e distribuito da Ducale): un cast di interpreti interamente "autoctono", dunque, a conferma di un'autenticità e un vigore che sembrano garantire attendibilità artistica e una totale immedesimazione con la prospettiva originaria dell'autore.