Nel volto di Ancelotti leggi la crisi
i rossoneri nonostante fosse Coppitalia.
Poi le telecamere hanno inquadrato il faccione di Carlo Ancelotti. Penso che l'abbiate in mente tutti: di solito è un bel quadro di gote rosse, un sopracciglio arcuato, con pochi tratti lo realizzi e altrettanto sintetico è il tocco di matita per farlo ridente, incavolato o triste. Ebbene: l'altra sera l'ho visto, quel faccione, vecchio, rugoso, espressione d'amarezza e stanchezza. Mi scuso con Carlo, perché magari era intirizzito dal sottozero di San Siro e seccato di dover comunque esibirsi nel cerimoniale televisivo post partita. Io invece il tecnico solitamente ottimista e rallegrato dal buonsenso l'ho visto improvvisamente così diverso da quello, addirittura desideroso di fuggire, di dargliela su alla più fastidiosa e innaturale (per le sue corde) sperimentazione milanista.
Vicenda che dura dall'estate, da quando Ancelotti rispondeva «sì a Ronaldinho», e si capiva che non sentiva proprio la mancanza; e «sì a Sheva» con quel mezzo sorriso che palesava incredulità e speranza in parole buttate lì per compiacere i cronisti. E siccome spesso si sottolinea del sor Carletto il suo atteggiamento sornione da contadino emiliano, restando nel modello - forse esagerato - sembrava che intuisse il venir di una stagione grama, con poco raccolto.
È esagerato trarre certe conclusioni da una sconfitta di Coppitalia incassata da un Milan abboracciato e ridotto in dieci? Ma non è questa l'origine di certi pensieri, né la sconfitta di Palermo, bensì un andamento lento sottolineato da Ancelotti con improvvisato entusiasmo nelle vittorie e esagerato filosofeggiare nelle sconfitte. E credo che quella battuta «vorrei allenare la Costa d'Avorio» sia soprattutto un annuncio di fuga. Ho spesso avvicinato Carlo Ancelotti - per competenza e umanità - non tanto al disincantato Liedholm, come spesso si fa, quanto al burbero e furbo Nereo Rocco, che ormai pochi ricordano. E mi riferisco al penultimo e ultimissimo atto del Paron rossonero, quand'ormai la sua storia col Milan era finita e viveva di puri soprassalti sentimentali. Quelli sì da "Libro Cuore".