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Nel Requiem da camera di Brahms il dolore si trasforma in speranza

Andrea Milanesi domenica 27 aprile 2008
«È uno dei più grandi, dei più personali colloqui con la Morte»: con queste parole il critico Alfred Einstein ha messo a tema il nucleo germinale e la cifra stilistica del Requiem tedesco di Johannes Brahms (1833-1897). Di un'opera monumentale che, all'interno dello sconfinato repertorio di musica sacra, si impone paradossalmente per il suo carattere "non liturgico" e "non cattolico". È stato infatti lo stesso compositore a scegliere dalle Sacre Scritture " nella traduzione "riformata" e in lingua tedesca approntata nel XVI secolo da Lutero " i testi che avrebbero incorniciato il suo grandioso affresco sul significato ultimo dell'esistenza; soffermandosi proprio su quei passi biblici in cui appaiono più evidenti i richiami fiduciosi a un abbandono finale nell'abbraccio divino, personalizzando in modo decisivo l'orientamento spirituale di un lavoro che doveva assumere per lui i toni sommessi dell'estremo commiato dalla vita terrena.
In tal senso, dall'originale versione con accompagnamento orchestrale Brahms ha in un secondo tempo realizzato una rielaborazione per soprano, baritono, coro e pianoforte a quattro mani; non già una semplice "riduzione", ma una vera e propria rivisitazione, attraverso la quale l'autore ha inteso portare alla luce la dimensione maggiormente intima e personale della sua posizione di fronte al mistero più insondabile.
Sfida prontamente raccolta da Harry Christophers, che del capolavoro brahmsiano ha realizzato una pregevole incisione discografica (pubblicata da Coro e distribuita da Jupiter) facendosi accompagnare dalle voci soliste di Julie Cooper e Eamonn Dougan, dal gruppo vocale The Sixteen, da Gary Cooper e Christopher Glynn al pianoforte (un "filologicamente corretto" Bösendorfer del 1872). Abituato a frequentare i più splendenti gioielli polifonici dell'età rinascimentale, il direttore inglese si addentra tra i chiaroscuri della versione cameristica del Deutsches Requiem con notevole disinvoltura, e ciò che a un primo ascolto può risultare perso in termini di orchestrazione viene guadagnato in termini di raccoglimento e meditazione, chiarezza del contrappunto ed espressività dell'apporto corale; riconducendo le grandi riflessioni esistenziali alla portata di un dramma a misura d'uomo.