Nel mondo del Monello, dove la giustizia è un lieto fine
Charles Spencer Chaplin, che è come dire Charlie, o meglio ancora Charlot, un personaggio d'invenzione che ci risulta subito familiare, quasi si trattasse di una vecchia conoscenza. Il meccanismo, inspiegabile e irresistibile, è lo stesso che si mette in azione quando in scena entra Arlecchino o un'altra maschera della Commedia dell'Arte, solo che qui non c'è bisogni di artifici, Chaplin e Charlot hanno il medesimo volto, identici sono anche i baffetti che ballano sotto il naso (identici a quelli di Adolf Hitler, tra l'altro, e il dettaglio gioca un ruolo non trascurabile nell'ideazione del Grande dittatore), a fare la differenza è semmai quel po' di biacca adoperata per rendere più pallido il volto del vagabondo. Charlot è un hobo, un senza casa simile a quelli che saranno poi celebrati da Woodie Guthrie, l'Omero di un'America marginale eppure dignitosa, abbandonata a sé stessa ma non arresa alle traversie dell'esistenza. Charlot aggiunge il tocco di un'eleganza paradossale, che resiste a ogni avversità. La bombetta malconcia, la giacchetta striminzita, i pantaloni con il cavallo a precipizio, la canna da passeggio che sembra tollerare qualsiasi maltrattamento fanno parte della livrea che Charlot indossa per affrontare la vita, combattere la fame, sfuggire agli inseguimenti. È lui, inconfondibile, e nello stesso tempo è il protagonista di un'avventura universale, nella quale ciascuno può riconoscersi e ritrovarsi. Charlot non ha storia o, almeno, non ha intenzione di raccontarla. Libero da legami, recalcitra quando l'altro si fa avanti, anche se poi, come rispondendo a una chiamata, dell'altro non può più fare a meno.
Succede così nel Monello, che della parabola di Charlot è la sintesi perfetta. L'avvio rispetta le convenzioni del feuilleton ottocentesco (ma anche della tragedia classica, a proposito di universalità), con la giovane sventurata costretta ad abbandonare il figlio appena partorito. Lei, interpretata da Edna Purviance, diventerà un'attrice famosa e tormentata dal rimorso, mentre il piccolo (Jackie Coogan, forse il più prodigioso degli enfant prodige) crescerà a fianco di Charlot, questo strano padre putativo che di essere padre non aveva alcuna intenzione. Tutto accade qui, nella dura realtà dove detta legge il poliziotto impersonato da Tom Wilson, uno dei tanti indispensabili comprimari che affollano il cinema di Chaplin. Ma Il monello è anche il viaggio verso un altrove abitato dalla giustizia, verso un lieto fine che sappia rimettere a posto il mondo senza pretendere, per questo, di raddrizzare la bombetta di Charlot.