Nel linguaggio di Gesù una forza poetica straordinaria
Nel volume, che unisce alcuni suoi testi a una lunga conversazione col critico Stefano Verdino sul cristianesimo, Mario Luzi (1914-2005), figura chiave del Novecento (chi fosse interessato più comprarsi Tutte le poesie edite da Garzanti), autore della Via crucis al Colosseo nel '99, senatore a vita che scrisse testi appassionati in difesa dell'unità della patria e della pace, si mette davvero a nudo. Vale la pena ascoltarlo. Ecco cosa dice sulla preghiera: «Io vedo la preghiera come un ritorno della parola a chi l'ha creata, al Verbo. Negli uomini e in tutto ciò che è presente nel mondo c'è un respiro e un'aspirazione orante. Se noi guardiamo il mondo, pur disturbato e violato, in sostanza c'è questa verticalità, è implicita questa preghiera». O sulla Chiesa: «Innanzitutto è una coralità trascendente, un insieme unitario di tante individualità. Ma è anche un corpo materiale, perché la materia non è un'abiezione, la materia e il corpo sono cose belle. La Chiesa è un corpo reale di persone concorrenti e confluenti in una speranza comune». Oppure sull'aldilà: «Il significato di un paradiso va congiunto con un sentimento di progressione che investe l'umano nel suo percorso verso il divino. La perfettibilità del mondo comporta la salvezza umana e la salvezza è una progressione dal greve al sottile». Qui affiora l'influsso di Teilhard de Chardin, uno dei suoi punti di riferimento teologici così come san Paolo e Pascal. Mentre dal punto di vista letterario Luzi cita i grandi scrittori francesi del '900, Mauriac in primo luogo, protagonisti di una stagione narrativa che non ha paragoni a confronto col parallelo italiano espresso da Lisi o Bargellini, che pure stimava molto. «La nostra tradizione - precisa - è troppo letteraria, mentre quella francese, per quanto letteraria, anche più letteraria, tuttavia buca la letteratura stessa».
Tornando alla situazione del cristianesimo oggi, Luzi è ben consapevole delle sue difficoltà («quando si va in una chiesa metropolitana si avverte una desolazione, perché è un po' terra di nessuno»), dice di non amare il cattolicesimo organizzato (si accostò alla Fuci in età giovanile solo perché si respirava un'aria antifascista) e riguardo ai papi si sente legato soprattutto a Giovanni XXIII per la sua sintonia con l'uomo. Apprezza Giovanni Paolo II per la sua resistenza prima al comunismo e poi alla disumanità del capitalismo, ma rileva anche che a suo parere durante il suo pontificato «si è rimasti al box del cammino teologico, mentre è avanzato il cammino universale e umano della Chiesa». Giudizio che può far discutere, ma senza dubbio è condivisibile un'altra sua affermazione, «l'idea ancora diminutiva della donna» che prevale oggi nel cattolicesimo nonostante i passi compiuti.