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Nel labirinto femminile, il bandolo della matassa fra Artemide e Afrodite

Alfonso Berardinelli venerdì 22 maggio 2015
Dopo aver riletto con rinnovata ammirazione diverse poesie di Anna Maria Carpi e di Bianca Tarozzi per due presentazioni, una alla Casa di Goethe a Roma e l'altra al Salone del libro di Torino, mi sono immerso (proprio immerso) nella lettura di due saggi autobiografici di Roberta Mozzanti raccolti nel volumetto Sotto la pelle dell'orsa (iacobellieditore). Credevo di essere preparato ad affrontare i labirinti della psiche femminile. E invece mi sono perso. Il passo di queste molto analitiche prose autobiografiche è veloce e spedito come quello di un' Artemide in fuga dalla propria bellezza, una selvatica cacciatrice e frequentatrice di aggrovigliate selve che si vuole severamente e audacemente libera da ogni legame, come ha voluto essere, decenni fa, la generazione di adolescenti e ventenni a cui Roberta Mazzanti appartiene.Dunque, in quella selva, la ragazza che scelse Artemide «come la più seducente fra le dee» rifiutando «l'esagerata Afrodite, progenitrice e modello di femmine capricciose e distruttive», ora quella ragazza in età più matura ripercorre la propria vicenda. Rievoca con vero amore la Bella Addormentata che fu sua madre, interpreta il rifiuto rigoristicamente libertario della propria bellezza (un dono e un'arma che si trasformano in una prigione), individua sostanziali paure e pudori dietro gli apparentemente spregiudicati esercizi di libertà erotica, trova infine il bandolo della matassa in cui si nascondevano le più temibili insidie: la paura di mangiare e la paura di camminare. Le prime cose che vuole fare un bambino all'inizio della vita, ecco che l'adulta le rifiuta.Certo esiste una "fuga dalla libertà". Ma esiste anche una "libertà come fuga", poiché non c'è vita reale senza legami, abitudini, regole, doveri, limiti, punti di appoggio. L'ossessivo mantra anoressico, scrive la Mazzanti, dice: «Meno peso, più potere» e «meno voglio qualcosa, più desidero tutto». Potere, libertà e desiderio indeterminati, senza oggetto e senza limiti, portano all'autodistruzione, al disorientamento e perfino all'impossibilità di camminare poggiando i piedi sulla terra. Anche la bellezza fisica, se c'è, va accettata. Con rassegnazione, con distrazione, come se fosse niente e guardando altrove.