Nel gelo bianconero salvo il "soldato" Buffon
Noi, immobili, trangugiavamo liquori da riscaldamento. Il giorno dopo seppi da alcuni colleghi moscoviti che la tv nazionale - dove al pomeriggio avevo partecipato a un dibattito su Calcio & Mafia - mi aveva inquadrato mentre bevevo a collo da una bottiglia di vecchia riserva churchilliana offertami da un magnate locale che con le mani disegnava nell'aria un'idea di pioggia.
E invece voleva dir neve. Ricordo benissimo che a un certo punto - era il minuto 33 della sua partita azzurra numero 33 - si fece male Pagliuca, il portiere titolare lasciato in eredità da Arrigo Sacchi, e mentre cadevano fiocchi che sembravano tortellini vedemmo entrare in campo, di corsa e con una personale nuvoletta di vapore sulla bocca, un ragazzone smilzo con una maglietta a maniche corte. Sì, era Gigi, diciannovenne all'esordio, già spavaldo, all'apparenza per nulla intimorito: la folla imbiancata lo salutò con un applauso di simpatia. Il suo compagno di reparto anche al Parma, Fabio Cannavaro, lo salutò con una vibrante autorete e pareggiò il gol di Bobo Vieri, cosa che nè Aleinichev nè Kolyvanov, vecchie conoscenze, eran riusciti a fare. Gigi non s'arrese e nell'ultima mezz'ora si esibì in alcune belle parate che gli valsero, a fine gara, il caloroso abbraccio dei compagni. Avevamo conquistato il diritto allo spareggio, che si giocò a Napoli, alla fine di una bella giornata di sole: vincemmo con un gol di Casiraghi. Ma Gigi era già sparito. Per ridare il posto a Peruzzi, eppoi a Pagliuca. Sparito fino a marzo del '99, quando un commissario tecnico che di portieri se ne intendeva, Dino Zoff, lo fece titolare contro la Danimarca. E nacque la leggenda di Buffon il Grande, al quale mi piace augurare un ritorno felice fra i pali della Sciagurata bianconera dopo essere stato operato al ginocchio il 13 dicembre scorso. Naturalmente per averlo grandissimo al Mondiale in Sudafrica. Dove farà freddo, ma senza neve.