Lapponia finlandese, anno 2019, d’autunno. Forse. Perché i ricordi delle stagioni sfumano quando non sono i mesi a contare, ma quello che ci trovi in mezzo. Io e Gabriele eravamo usciti dentro l’alba. Trovammo solo un cielo di latte annacquato e neve che scricchiolava sotto gli scarponi. Era un risarcimento. Perché tutti nella vita abbiamo diritto almeno a una dose minima di meraviglia quotidiana. Bisogna solo andare a prendersela. E quella era lì. Sotto forma di una strada diritta, senza fine, senza riferimenti, senza corsie, cartelli, senza confini. Diritta nel bianco. Le ruote che rotolavano l’unico rumore percepito, gli alberi muti, cristallizzati nel ghiaccio, testimoni immobili. Centinaia di chilometri di vuoto pneumatico, senza spostare il volante. Avanti, e ancora. Il nulla come compagnia, e la sensazione che la vera libertà non sta nel decidere un colore, ma sottrarsi a questa scelta. Poi, d’improvviso, una capanna di legno, senza orme davanti. E un filo di fumo che ne usciva. Segno di vita, respiro nel nulla. A centinaia di chilometri dalla consuetudine e dalla sicurezza, qualcuno sopravviveva di sé. Si bastava. Si nutriva di assenza. Avrei pagato per fermarmi, per conoscere tanto coraggio. Ne ebbi paura e non lo feci: non ero abbastanza candido, sentivo di non meritarlo. Il bianco aveva fatto la sua mossa, e aveva vinto ancora.
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