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Nei versi di Fatica l'enigma del serpente

Cesare Cavalleri mercoledì 21 agosto 2019
Ottavio Fatica, celebre traduttore, ha pubblicato il suo secondo libro di poesia, intitolato Vicino alla dimora del serpente (Einaudi, pagine 180, euro 14), dopo Le omissioni (2009, sempre da Einaudi). Questione preliminare: Ottavio Fàtica oppure Ottavio Fatìca? Il pluripremiato traduttore è citatissimo nel web, ma nessuno si è preso la briga di segnare un accento tonico. Per me vanno bene entrambe le dizioni: infatti, nella linguistica di Jacobson la funzione fàtica controlla se il canale di comunicazione è efficiente, come quando, in una conversazione telefonica ogni tanto diciamo "pronto?" o "ci sei?" per accertarci che l'interlocutore sia effettivamente in ascolto; funzione adattissima per un traduttore che non deve perdere i contatti con l'originale né con il lettore. Quanto a fatìca, bastano poche parole: la fatìca di tradurre, la fatìca di leggere o, se vogliamo calcare la mano, la fatìca di vivere. Comunque, uno che ha tradotto Moby-Dick, quasi tutto Kipling, Elizabeth Bishop, Auden, Faulkner, e tanti altri, compreso Dagli ebrei la salvezza, del sulfureo Léon Bloy, merita ammirazione. Proprio nella prima poesia della nuova raccolta, il traduttore e poeta fa una promessa che non potrà mantenere: «Di mio non dirò niente

/ lo prometto. Neanche quello / che ho appena detto / è mio. Di me dimenticati». Finale: «Niente ho detto di mio / come promesso. E tu dimenticalo». Sarebbe bellissima una poesia senza soggetto, ma è impossibile. E, infatti, nelle 180 pagine affiora ogni tanto l'inevitabile prima persona singolare, e addirittura qualche tu. Non si scrive e non si pubblica per farsi dimenticare: se è per quello basta non scrivere, non pubblicare. Fatica si destreggia in rime e assonanze: «Prime parole, quelle / sempre quelle / le prime stelle»; «io per il fuoco / io per il poco»; «di un dio cervo / che curvo contro un tronco»; «del cuore malva talpa». Perché l'autore talvolta indugia a spezzare in due l'endecasillabo? «Nessuno ascolta / il demone di un altro / l'anonimo richiamo / l'insensato boato / o pigolio musica sghemba / per irreali / fuochi d'artificio sta tutto / nel non detto / il dito sulle labbra / per non piangere». In questo cespuglio di quinari e settenari si nascondono endecasillabi che andrebbero scritti come tali: «Nessuno ascolta il demone di un altro»; «musica sghemba per irreali fuochi»; «il dito sulle labbra per non piangere». Delle sei sezioni del libro, la più complessa è la terza, che si apre con poesie dedicate a una gatta. Ma la risposta è sempre seria: «Dio mette la divinità/ nell'uomo come l'uomo mette / l'umanità in un animale / o siamo nell'universo come i cani / e i gatti in biblioteca? // Nulla osta. Io guardo / occhi negli occhi / questa gatta, questa / creatura. E ho paura / di aver paura. Avendo / la risposta. // Giochiamo tutti e tre / a mosca cieca». L'enigmatico titolo del libro non viene mai spiegato e forse allude all'immaginario cristiano. Ma ne parleremo un'altra volta.