Nei versi di Fatica l'enigma del serpente
/ lo prometto. Neanche quello / che ho appena detto / è mio. Di me dimenticati». Finale: «Niente ho detto di mio / come promesso. E tu dimenticalo». Sarebbe bellissima una poesia senza soggetto, ma è impossibile. E, infatti, nelle 180 pagine affiora ogni tanto l'inevitabile prima persona singolare, e addirittura qualche tu. Non si scrive e non si pubblica per farsi dimenticare: se è per quello basta non scrivere, non pubblicare. Fatica si destreggia in rime e assonanze: «Prime parole, quelle / sempre quelle / le prime stelle»; «io per il fuoco / io per il poco»; «di un dio cervo / che curvo contro un tronco»; «del cuore malva talpa». Perché l'autore talvolta indugia a spezzare in due l'endecasillabo? «Nessuno ascolta / il demone di un altro / l'anonimo richiamo / l'insensato boato / o pigolio musica sghemba / per irreali / fuochi d'artificio sta tutto / nel non detto / il dito sulle labbra / per non piangere». In questo cespuglio di quinari e settenari si nascondono endecasillabi che andrebbero scritti come tali: «Nessuno ascolta il demone di un altro»; «musica sghemba per irreali fuochi»; «il dito sulle labbra per non piangere». Delle sei sezioni del libro, la più complessa è la terza, che si apre con poesie dedicate a una gatta. Ma la risposta è sempre seria: «Dio mette la divinità/ nell'uomo come l'uomo mette / l'umanità in un animale / o siamo nell'universo come i cani / e i gatti in biblioteca? // Nulla osta. Io guardo / occhi negli occhi / questa gatta, questa / creatura. E ho paura / di aver paura. Avendo / la risposta. // Giochiamo tutti e tre / a mosca cieca». L'enigmatico titolo del libro non viene mai spiegato e forse allude all'immaginario cristiano. Ma ne parleremo un'altra volta.