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Muri

Alberto Caprotti giovedì 7 novembre 2024
«Se davanti a te vedi tutto grigio, sposta l’elefante...». L’ho letto su un muro qualche anno fa, e immagino che fosse stato scritto da qualcuno per regalare un sorriso gratis. Scritto, non postato, taggato o inviato. Meraviglia archeologica quando non è̀ imbrattamento vandalico, ma poesia che si può lavare. Come tanti, sono stato a Berlino a vedere ciò che rimaneva di quello più famoso di tutti. Cercavo le scritte, più che la storia. Perché i messaggi sui muri hanno dentro tante cose, pensieri e persone, fanno immaginare vicende che sbavano sui mattoni. La vernice usata come penna è oggetto d’antiquariato: ora invece le e-mail sono le epigrafi dei nostri giorni. Parole sincopate per fermare il tempo, che si perdono nell’etere. E di solito non fermano un bel niente. Con la disillusione e il vandalismo, le scritte hanno cambiato tono: troppi “tag”, molti scarabocchi da vomito, ghirigori comprensibili
solo a chi li inventa di notte, nascosto come un ratto. L’altra faccia è quella del colore, il murales che apre la luce, l’appello di chi ancora affida alla pittura il suo messaggio in bottiglia. Sporcare una parete non è̀ lecito, certo. Ma almeno c’è cuore. Ci vorrebbe un progetto per salvare la memoria collettiva attraverso le scritte che si leggono ancora sui muri. Uno strumento per spiegare a quelli che verranno la storia recente di chi siamo. O, almeno, vorremmo ancora essere. © riproduzione riservata