Tra i libri di mio padre letti da adolescente uno si chiamava: “Cristo tra i muratori”. Lo scrisse tra le due guerre Pietro Di Donato, di genitori abruzzesi, nato in America nel 1911. La storia, scritta in inglese, è di operai immigrati già da una generazione. Mio padre ne aveva una prima edizione in italiano. Ho riletto il libro. Della prima volta ricordo l’asprezza, la durezza di quelle vite esposte a ogni intemperia, morte compresa tra le impalcature. Di Donato perse così suo padre, capomastro. Primogenito di otto figli, a dodici anni va a lavorare in cantiere, riuscendo così a mantenere la famiglia. Intorno c’è la solidarietà della povertà, l’invisibile rete che ricuce le perdite e non manda nessuno alla malora della miseria. Il libro è la sua storia. Da ragazzo non potevo immaginare che avrei fatto per molti anni l’operaio di cantiere. Oggi che rileggo mi sembra normale e inevitabile quello che allora mi sembrava impossibile da sopportare. L’America del primo ’900 si è masticata due generazioni di nostri emigranti prima di fargli mettere la testa fuori dal sacco. Il libro ebbe un successo meritato, ne fecero anche un film che non ho visto. Scrivo questa pagina per loro, gli anonimi ai quali Di Donato offrì dignità e identità letteraria.
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