Ci voleva Riccardo Montolivo. Serviva un giocatore che è sempre stato esemplare nel metterci la faccia, come ha fatto in passato da capitano del Milan, come ha fatto quando è stato oggetto di critiche non solo ingenerose, ma spesso grottesche, cattive, anzi feroci. È successo spesso nella sua carriera di doversi difendere da attacchi di vario genere: perché valutato troppo fragile, perché considerato troppo lento, perché ritenuto paradossalmente troppo pulito nel suo modo di stare in campo. Un giocatore la cui visione di gioco è considerata limite, e non pregio, solo perché interpreta la partita non con cattiveria agonistica, ma cercando di ragionare. Un talentuoso geometra del pallone, in mezzo a un bouquet di calciatori che nascondono la loro vacuità di talento menando come fabbri, oppure artisti sui generis, poco genio e molta sregolatezza. Per lui difficilmente si innalzano cori barbari: niente "picchia per noi…" o cose del genere. Nessun riferimento a lui quando si commenta, in modo idiota, e grazie al cielo sempre meno frequente, una partita "maschia".Riccardo Montolivo è uno che ha sempre detto di sì alle chiamate dei vari Commissari Tecnici, ha giocato con la maglia azzurra in tutte le categorie giovanili e della Squadra Nazionale è stato anche capitano. Purtroppo, alla causa della Nazionale ha lasciato ossa, muscoli e legamenti. Tanti infortuni, fino a quello generato, a Torino, dallo scontro con Sergio Ramos. Rottura del crociato e almeno sei mesi di stop. E cosa fa qualche imbecille mentre lui è in ospedale, in procinto di un'operazione chirurgica? Lo insulta sui social media. C'è chi arriva ad augurargli infortuni peggiori (e quello che si è fatto, ve lo assicuro, non è proprio una passeggiata…), qualcuno, incredibilmente, arriva ad augurargli la morte. Riccardo Montolivo, si risveglia dall'anestesia e decide di impugnare anche lui la testiera. Stessi tempi e ritmi da regista del centrocampo, gesti rallentati che sono garanzia di qualità (diciamo la stessa differenza che passa fra i tempi della cottura di un brasato al barolo e quelli di un hamburger del fast food sotto casa). Scrive, armandosi dello stesso strumento, sul suo profilo Facebook: «È stato bello, in un momento così faticoso, ricevere così tanti attestati di stima e affetto. E una carezza a tutti quelli che mi hanno augurato la rottura di tibia e perone, la rottura di tutti i legamenti e la morte... con l'augurio che la vita riesca a farvi crescere in educazione e rispetto dell'essere umano».Serviva Riccardo Montolivo per riscattare tutti noi che abbiamo avuto a che fare con ruoli di grande visibilità nel mondo dello sport e conosciamo bene la dinamica del giudizio vomitato sui social media. Censori di Facebook, sepolcri imbiancati di Twitter, Commissari Tecnici da tastiera e profeti del minuto dopo e della partita finita. Tutti lì, con 140 proiettili fatti di caratteri a disposizione, per esprimere giudizi, scrivere volgarità, regalare cattiverie gratuite da attaccare, come enormi tazebao alla stupidità, sulla piazza virtuale. Commenti spesso firmati e accompagnati dall'immagine di chi li ha pensati, espressi e digitati sulla tastiera con una leggerissima pesantezza. Capita così che un ragazzo che nella foto del profilo indossa le orecchie di Topolino ti dica che sei un idiota perché hai sbagliato quel cambio, oppure che l'anziano signore in mutande sulla spiaggia ti spieghi per filo e per segno chi bisognava far giocare.Ci voleva la carezza di Riccardo Montolivo per prendere a sberle la gente che crede di essere espressione di quella wisdom of the crowds ("saggezza della folla") teoria sociologica secondo la quale una massa di individui sarebbe in grado di fornire una risposta valida a una domanda più di quanto non sia in grado di fare un esperto. La descrive, con un didascalico esempio, James Surowiecki: «Portate una mucca su un palcoscenico e chiedete, a tutti, quanto pesa. La media delle risposte degli spettatori del teatro sarà più precisa di quella di un singolo veterinario». Con le mucche funzionerà anche, ma se dietro la tastiera ci sono degli asini… ne facciamo volentieri a meno.