È stata un'iniziativa davvero benemerita degli autori Francesco Merloni e Alberto Pirni e poi dell'editore Carmine Donzelli quella di pubblicare il volume Etica per le istituzioni. Un lessico. In un Paese come il nostro, in cui lo Stato, l'amministrazione, la burocrazia, i ministeri, i partiti politici hanno mostrato e continuano a mostrare un'esasperante inadeguatezza funzionale, parlare di etica pubblica equivale a mettere il dito sulla piaga. Si può dire che i cittadini non aspettino nient'altro che una riforma, una rifondazione della responsabilità morale di chi lavora nelle istituzioni. La prefazione al volume non poteva che scriverla Raffaele Cantone, per anni alla guida dell'Autorità nazionale anticorruzione. Fin dalle prime righe, Cantone indica che il problema non ha affatto un rilievo locale: «Il tema dell'etica pubblica è tornato da tempo all'attenzione degli Stati, delle organizzazioni internazionali, dei legislatori di tanti Paesi, anche in attuazione di obbligazioni assunte proprio a livello internazionale». Quando si tratta infatti di rapporti fra le nazioni e i loro organi statali, i livelli di corruzione nei diversi Paesi rischiano sempre di distorcere, falsare o vanificare ogni genere di accordi e di scambi. Si trattava esattamente di questo quando in qualche Paese europeo poco benevolo nei nostri confronti, si cominciò a dire che il sostegno economico che l'Europa offriva all'Italia si sarebbe trasformato in un regalo alle mafie infiltrate nei nostri enti pubblici. Ma parlare di corruzione non significa parlare solo di criminalità organizzata. La corruzione è anche routine e quotidiana irresponsabilità, mancato rispetto di regole, dice Cantone, negli scambi internazionali fra Paesi. Il presidente Mattarella ha parlato in proposito di «furto di democrazia», cioè di inquinamento e avvelenamento, nel costume nazionale, della fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche, con tutte le prevedibili conseguenze: lì dove diminuisce la fiducia, cresce la «demoralizzazione» (che è rinuncia alla morale) e quindi l'abitudine alla corruzione come prassi normale e quasi ovvia. Il volume, tuttavia, non si limita a perorare in favore dell'onestà: mostra, "scientificamente" e in dettaglio, che non c'è legame sociale che possa fare a meno di comportamenti morali, cioè di integrità, imparzialità, trasparenza e anche efficienza. Ogni funzionario pubblico deve essere uno «specialista pratico» del servizio al bene comune. E mai tradire la fiducia neppure di un singolo cittadino.