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Missionari digitali. L'influencer cattolico n. 1 al mondo: bello, bravo e consapevole

Guido Mocellin giovedì 4 luglio 2024

Quando l’estate scorsa Manuela Tulli ha raccontato per l’ANSA il primo Festival degli influencer cattolici, svoltosi all’interno della GMG di Lisbona, ha definito Heriberto García Arias «il numero uno al mondo». E ha aggiunto: «Sorridente, bello come un attore di fiction, ha deciso che la sua missione è annunciare Dio nel mondo digitale. E se gli chiedi se l'essere un bel ragazzo aiuta in questo, con una disarmante semplicità risponde: “Non è colpa mia...”».

Non so dire con certezza se il ranking mondiale dei missionari digitali sia ancora quello del 2023 o se la classifica vada aggiornata, ma certo i numeri social di questo presbitero messicano di 36 anni sono di tutto rispetto: 1,8 milioni di follower sull’account TikTok, 252mila sull’account Instagram, 75mila iscritti al canale YouYube, 65mila sulla pagina Facebook.

Ordinato nel 2016 per la diocesi di San Juan de los Lagos (suffraganea di Guadalajara), non portato fino ad allora a parlare in pubblico né preparato in tema di media (così dice), si è occupato inizialmente della comunicazione della cattedrale, producendo video e corti. Come per molti dei suoi confratelli che hanno “bucato” la Rete, è stata la pandemia a spingerlo sui social: condividendo le omelie ha visto rapidamente crescere la sua popolarità.

Attualmente vive a Roma: studia Comunicazione istituzionale alla Pontificia Università della Santa Croce, lavora presso il Dicastero per la comunicazione a contatto con gli altri missionari digitali e immagina per sé un futuro da “portavoce” ecclesiale.

Guardando i contenuti dei suoi social, tendenzialmente gli stessi moltiplicati sulle diverse piattaforme, si vede messa in pratica l’intenzione dichiarata di padre García: «Annunciare il Cristo di sempre con i mezzi di oggi». Si mostra quasi sempre a mezzo busto, indossando il clergyman; parla in modo chiaro e diretto, semplice ma non semplificatorio. È anche, oggettivamente, «guapo», come si dice nella sua lingua, ma da solo questo elemento non giustificherebbe tanta audience.

Da due interviste rilasciate in Rete ad altrettanto testate spagnole, una recente (febbraio 2024) a “Religion conficencial” e una un po’ più datata (aprile 2023) a “El Debate”, emerge un profilo molto consapevole della sfida che sta affrontando. Quella attraverso i social, dice, non è una vera e propria evangelizzazione, se mai una preparazione, un «primo annuncio», ma se la Chiesa vuole arrivare alle persone, oggi, ai giovani in particolare, deve inviare evangelizzatori anche su questi «nuovi pulpiti».

Attribuisce a Dio e non a sé stesso i risultati del suo impegno ed è molto consapevole dei rischi e delle tentazioni che accompagnano una tale esposizione pubblica, per quanto, assieme ai complimenti, non manchi di ricevere offese e pregiudizi. Così cerca di dedicare solo un’ora al giorno a produrre e caricare i post, senza non stare di continuo davanti allo schermo ad attendere le reazioni, ed è pronto a obbedire al suo vescovo se gli chiedesse di abbandonare il web.

Frattanto ha pubblicato anche un libro-intervista con Gonzalo Fernández Sanz (direttore delle Publicaciones Claretianas), il cui titolo in italiano suonerebbe: “Confessioni di un sacerdote digitale”. Nelle ultime pagine contiene il suo bel “Decalogo dell’evangelizzatore digitale”. Tra i precetti, ci sono l’autenticità, il rispetto, la pazienza, naturalmente l’amore e, ultimo ma non meno importante: «Ricordare che non siamo Dio».