I libri resistono. Insidiati dagli e-reader, sopraffatti dagli smartphone e incalzati dai tablet, i volumi di carta continuano a manifestarsi dappertutto. Spesso sono le novità dell’ultima ora oppure i successi che da qualche tempo vanno per la maggiore, ma che consolazione quando si incontra un lettore assorto tra le pagine di una vecchia edizione priva di altro pregio che non sia il testo riprodotto a stampa. In un vagone della metropolitana di Milano, per esempio, una ragazza si inoltra nel labirinto di Misery, capolavoro di Stephen King passato in proverbio come Misery non deve morire, che era in effetti il titolo del film. Pubblicato originariamente nel 1987, il romanzo è ancora bellissimo, ma la copia della giovane passeggera è veramente bruttina, realizzata com’è per un Club del Libro che nel frattempo ha chiuso i battenti. Sarà sbucata da una soffitta, forse comprata per un paio di euro su una bancarella. La copertina approssimativa, la rilegatura imbarcata dall’umidità. Eppure, nonostante i visibili difetti, il reperto si anima di luce propria, scintillando nell’anonimato della sotterranea. A suo modo, quel povero libro spelacchiato è la conferma di come ci sia, nella lettura, qualcosa di indomabile e solenne. Finché ci si appassiona alla sua storia, Misery non può morire.
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