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Miscredenti, cristianisti e voto di classe

Pier Giorgio Liverani domenica 19 giugno 2005
Di chi è la colpa della sconfitta nel referendum? Invece di cercarla tra le sparute schiere del "sì", a questa domanda i giornali referendari, tutti complessati perché temono di non avere più alcun potere di condizionamento delle coscienze degli Italiani («Tra gli sconfitti ci sono i giornali» ha scritto il Manifesto, mercoledì 14), rispondono scaricando la colpa su chi ha vinto. Leggiamo, per esempio, La Repubblica. Domenica 12 Eugenio Scalfari se la prendeva in anticipo con «i miscredenti [che] diventano clericali» e che pensano a «fratello embrione, mamma uovo, papà spermatozoo». Complessi edipici? Martedì 14 il direttore Ezio Mauro accusava «il rifiuto ratzingeriano del relativismo tradotto [...] nel linguaggio persino legislativo, superando l"idea del Parlamento come luogo dove le leggi si fanno con l"unica regola della maggioranza». Ma non è proprio una legge siffatta che il non voto ha difeso? Mercoledì 15 Miriam Mafai ha scoperto, da brava intellettuale organica, che il voto non è uguale per tutti, ma è di classe: «La frattura non passa tra laici e cattolici, ma piuttosto tra il voto del Nord e quello del Sud, tra il voto delle città e quello dell"entroterra», tra il «voto nei quartieri del centro storico, dove migliore è il livello sociale e di istruzione [...] e il voto nei quartieri periferici». L"angoscioso futuro che lei teme è ora «il sostegno alle scuole cattoliche, la difesa dell"unità della famiglia e dei valori della vita fin dal suo inizio». Soltanto Francesco Merlo (venerdì 17) ha rovesciato su tutti la sua spocchia: «Gli atei bigotti e neocristianisti» (i cosiddetti "teo-con"), che si mischiano con «l"Italia minoritaria di Radio Maria e dei pellegrinaggi a Loreto», «la sinistra distratta dalle dinamiche di primazia leaderistica», «Rifondazione, che è il gruppo più antiscientifico e più ideologico», «le femministe invecchiate che hanno riproposto linguaggi stereotipati da anni 70», «il cristianesimo ghibellino che sa anche vedere nel Papa un intralcio alla propria fede» e «la banalizzazione di Cristo che faceva miracoli scientifici e moltiplicava la ricchezza per i poveri» (a me risulta solo pani e pesci). La sua spocchia si è placata solo nell"immagine consolante «della nostra tolleranza caritatevole» resa evidente da quanto sopra. Per ultimo ecco il solito Ronchey sul Corriere (giovedì 16) con il solito tormentone della solita ingerenza della Chiesa. E qui, senza citazioni ovvie, c"è da chiedersi perché mai soltanto i cattolici non sarebbero cittadini che votano con la propria testa, che elaborano con la propria ragione e in piena libertà gli argomenti che ad essi vengono offerti. Perché mai non siano essi stessi la Chiesa, considerata invece altro da loro eccetera? Eppure le pagine più belle della storia della Repubblica sono state scritte da cristiani che avevano chiarissimo il senso dello Stato perché altrettanto chiaro era quello della loro fede. Se i "laici" sono così pieni di complessi, perché non si rivolgono alla psicanalisi, scienza probabile, ma che più laica non si può, per un"analisi pre-esternazioni?
DELICATEZZE TEOLOGALIContinua il serial della "teologa" Adriana Zarri sul Manifesto. In quello di domenica 12 a proposito del titolo, accusato di vili-pendio, con cui quel giornale salutò papa  Benedetto XVI («Il pastore tedesco») e si domandava: «Vilipendio di chi? Del papa o del cane?». E poco più sotto: «Cossiga afferma che se vince-ranno i "sì" la prossima tappa "sarà la legge per l"introduzione dell"eutanasia"». Auspicio: «Se la "dolce morte" colpisse la sua emerita persona non sarebbe male». Delicatezze di teologa.