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rancoforte, 1988 – Nel grande aeroporto tedesco da mesi hanno preso a arrivare bambini soli, dal Medio Oriente e dall'Asia, con in tasca solo un biglietto: «Da noi c'è la guerra. Per favore, abbiatene cura». La Bilde Zeitung
scrive che sono ormai centinaia. Arrivo a Francoforte, scalo immenso, anonimo crocevia di destini; passeggeri di fretta, cento lingue, in una concitazione da Babele. Eccoli, i profughi: otto, dieci anni, pelle caffelatte, occhi grandi di paura. Un funzionario, il signor Brinkmann, li accompagna in un istituto nei boschi del Taunus: i bambini di Sri Lanka e Eritrea guardano attoniti la neve. La Germania del 1988 concede asilo ai profughi bambini in virtù di una legge del primo dopoguerra. Ma ora i profughi cominciano a essere troppi. Tra i tedeschi si coglie un crescente fastidio. «Però non si può, capisce, mandarli indietro», si accalora Brinkmann.Già, non si può. Infatti lui, padre di tre figli, una sera dall'aeroporto si è portato a casa quattro piccoli sfiniti eritrei. E la mattina con sua moglie han deciso che non potevano mandarli via: così che ora hanno sette figli. Lo credereste? Nella indifferente Babele del Frankfurt Airport c'è uno così, che apre il cuore a quattro figli in una notte. (Sono silenziosi i miracoli, non fanno rumore).