Ministro della Giustizia e Csm. Collaborazione opportuna, anzi obbligata
La prima attiene ai numerosi richiami, non formali, che il ministro ha fatto ai princìpi e alle regole della Costituzione italiana, sia quelli concernenti il rapporto tra Ministero e Csm sia, più in generale, quelli che toccano il complessivo equilibrio tra legislativo, esecutivo e giudiziario espresso nella Carta fondamentale. C'è sicuramente ancora molto da lavorare per un'applicazione fedele e non di facciata del modello costituzionale di magistratura, ma è senz'altro incoraggiante sapere che i suoi tratti essenziali sono condivisi dal responsabile governativo del settore. La seconda notazione attiene ai momenti qualificanti del rapporto tra titolare del Ministero e Consiglio superiore, scolpiti nella formula dell'art. 110 della Costiztuzione: «Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della Giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia». L'attuale Csm ha dedicato molta attenzione al tema dell'organizzazione degli uffici giudiziari, e tale attenzione ha costituito la base per l'esercizio di un'effettiva e leale collaborazione tra Ministero e Consiglio. Da osservare anche che l'art. 10 della legge n. 195 del 1958 prevede, al comma 2, una specifica competenza del Csm di proposta proprio nel settore dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, oltre che un'ampia potestà consultiva in tema di amministrazione della giustizia (e il presidente Mattarella ha sottolineato, nel suo intervento finale al Plenum, l'importanza di tali due competenze). Il ministro risponde politicamente alle Camere dell'indirizzo politico in tema di giustizia, ma questa sua responsabilità istituzionale rischierebbe di ridursi a mera aspirazione ove non vi siano interlocuzione e confronto con il Csm. Bonafede ha mostrato larga consapevolezza di ciò. In terzo luogo, mi è parso che analoga consapevolezza il responsabile di via Arenula abbia circa la distinzione tra ministro come vertice amministrativo (rigorosamente vincolato al principio di legalità e i cui atti sono sindacabili in sede giurisdizionale) e ministro come vertice politico, cioè partecipe dell'indirizzo politico di settore in seno al Consiglio dei ministri e responsabile individuale per la sua attuazione: una consapevolezza che è bene sia presente in ogni componente dell'esecutivo.
Insomma: per potere raggiungere gli obiettivi dell'azione di governo, e in particolare quello di una lotta efficace contro la corruzione a tutti i livelli, la collaborazione tra ministro e Csm è senz'altro opportuna, anzi obbligata.