Uccellino. Friabile biscotto. Mia mamma la sollevi con una mano. Cammina piano aggrappandosi al tuo braccio. Niente bastoni. Il suo amico don Gianni ce l'ha, lei non molla. Andare, anche se le gambe fanno male. I mestieri di casa ogni mattina: «Guai se mi fermo». Cucinare, anche se l'appetito scarseggia. Leggere il giornale al bar, commentare le notizie con le altre signore. Scrivere poesie nel pomeriggio. Una ferrea disciplina quotidiana. La mente lucida, senza cedimenti. Come hai fatto a diventare così piccola, mamma? Quando quella piccola ero io sembravi enorme. Una ribelle, un'eccentrica. Un'Erinni, insofferente a ogni limite. Guardami, accorgiti di me, prendimi in braccio. Il suo sguardo fiammeggiante sempre altrove. Che cosa ti hanno fatto, mamma? Non ti hanno lasciata cantare: non stava bene, non era cosa onesta. Con la voce che ti era stata data. Non hai potuto studiare solfeggio, armonia, composizione. Non ti è stato consentito neanche di arrabbiarti e ne avresti avute tutte le ragioni.
Ho fatto tutto per te, mamma, e nemmeno l'hai capito. Ho studiato, ho lavorato, sono diventata brava in tante cose. Avrei tanto voluto che te ne accorgessi. Avrei così desiderato che me lo dicessi. La butti lì, l'altro giorno, con nonchalance: «Sei una donna meravigliosa».
Donna? Io? Dici a me? Qui c'è solo una bambina.