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Meno negozi ma più ristoranti (in città). E la provincia italiana arranca

Paolo Massobrio mercoledì 31 gennaio 2018
Novanta paesi della provincia di Torino sono rimasti senza esercizio commerciale. La denuncia arriva dall'Ascom, che tuttavia offre un dato in controtendenza: sotto la Mole lavorano mille ristoranti in più. In ogni caso il bilancio è pur sempre negativo: negli ultimi cinque anni hanno abbassato le serrande 3.300 esercizi commerciali. I medesimi dati, credo, si possono evincere un po' in tutte le province d'Italia, con una tendenza ad aprire ristoranti nelle grandi città a discapito della periferia, dove lo spazio commerciale si riduce quanto più aumenta l'occasione di mobilità. Quale sarà il futuro di un Paese che continua a dichiarare la sua spiccata vocazione turistica, molto spesso trainata (nelle intenzioni) dall'enogastronomia? Lunedì un gruppo di imprenditori, invitato dalla Strada dei vini e dei Sapori dell'Oltrepò Pavese, si è ritrovato per mettere a tema questa intenzione. C'è il vino buono, c'è la gastronomia che - dice sempre qualcuno che prende la parola - «non è seconda a nessuno» ma non decolla mai nulla. Non è successo ieri quando le disponibilità finanziarie c'erano, non accade oggi che siamo ancora nel cuneo della cosiddetta crisi. C'è insomma una certa incapacità a leggere il territorio e non si capisce mai quale sia il soggetto che deve far sintesi. I politici e gli amministratori confondono i ruoli e si inventano manager, mentre gli imprenditori vengono ascoltati nei cosiddetti tavoli di concertazione che servono come sfogo anziché come ambito di lavoro e progetto. Ma, ammesso che un territorio abbia tutte le carte in regola per attrarre gente, poi casca l'asino sulle infrastrutture: le strade non sono a posto e i ponti pericolanti. Non parliamo poi delle ferrovie, al centro di un fatto gravissimo, accaduto pochi giorni fa. Chi ha voluto smantellare pezzo dopo pezzo l'impianto amministrativo italiano, abolendo solo a metà le province e tagliando le gambe alle Camere di Commercio, non vuole essere responsabile di un degrado evidente della provincia italiana. Che fa fatica. Figuriamoci la montagna. La politica del NI, dunque, ha creato solo disastri. Ma ci sarà invece una politica del Si Si o del No No di evangelica memoria? Torneranno o spariranno le Province? Avremo uno stato sempre più centralizzato nei poteri oppure sarà decentralizzato? Chi sta da una parte o dall'altra? Vorremmo capirlo, tanto per non dare un voto di pancia, solleticato dalle più o meno simpatiche comparsate in tivù. Se un paese perde un negozio, una scuola, una banca o un ufficio postale, presto perderà anche abitanti e il degrado del territorio dovuto al mancato controllo sarà oggetto di cronaca nei prossimi mesi. Questa è un'urgenza. Ma bisognerebbe almeno togliere la testa da sotto la sabbia.