Meno numerose ma in grado di dare vita ad un giro d'affari maggiore di prima tanto da arrivare a 24 miliardi di euro. È questo il nuovo volto della cooperazione in agricoltura. Si tratta di una dato importante, che la dice lunga sulla capacità che ancora ha l'agricoltura di crescere e cambiare volto.
Nell'ultimo biennio - secondo i dati diffusi da Fedagri-Confcooperative che questa settimana ha svolto la sua assemblea annuale - c'è stata una diminuzione del 3,6% del numero delle società la cui base sociale e gli occupati sono rimasti sostanzialmente stabili. Il fatturato, invece, è cresciuto del 10,43%, e nel complesso ha raggiunto i 24miliardi di euro. Stando all'analisi degli osservatori del comparto, il fenomeno può essere sintetizzabile in una frase: «Meno cooperative e più cooperazione». Viene però fatto notare che l'aumento della cooperazione ha significato anche un aumento del capitale sociale (+2,2%), un lieve miglioramento del patrimonio netto (+0,3%), una diminuzione dell'indebitamento (-1,6%) e un aumento della solvibilità totale (+1,2%). Tutti indici di grande interesse per capire quanto effettivamente la cooperazione agricola nel Paese sia vitale e possa giocare un ruolo di rilievo nell'economia agroalimentare. Ruolo che, d'altra parte, può pure essere colto nel fatto che il 44% delle cooperative, nel secondo quadrimestre dell'anno, ha accresciuto il fatturato pur in presenza di prezzi stabili.
Ovviamente non mancano i punti di debolezza. In genere, per esempio, la base sociale soffre di uno scarso ricambio generazionale e di una presenza femminile limitata (23% del totale).
I dati consuntivi, tuttavia, parlano chiaramente. Le cooperative agricole sembra siano riuscite dove le normali imprese hanno spesso fallito: hanno cambiato pelle e modo di operare, si sono rafforzate finanziariamente e commercialmente, appaiono in grado di "tenere" il mercato pur se in presenza di prezzi non certo entusiasmanti. Volendo azzardare un po' di più, si potrebbe dire che la cooperazione agricola è capace di "innovare" molto di più del resto dell'agroalimentare nazionale.
È chiaro, però, che c'è comunque ancora molto da fare. L'età avanzata dei soci - e la conseguente possibile scarsa dinamicità di gestione - oltre che le molte realtà non certo in buona salute oppure a rischio, non possono essere nascoste. Ma la strada della razionalizzazione e della maggiore efficacia sul mercato sembrerebbe imboccata in maniera seria. Ed è proprio quello che ci vuole se si pensa, oltre tutto, che l'agricoltura continua ad essere il comparto che più di altri deve fare i conti con fattori della produzione non completamente sotto controllo dell'impresa (basta pensare al clima). È proprio per questo che, secondo l'Ismea, il 2006 agroalimentare potrebbe chiudersi con una diminuzione del valore aggiunto pari al 3,5%, frutto del contemporaneo calo delle produzione vegetali (-3,2%) e di quelle animali (-2,1%). Ovvio, una cooperativa efficiente non potrà nulla contro un clima avverso, ma contro i mercati ostili certamente sì.