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Meno campi, dilaga il cemento

Andrea Zaghi sabato 12 ottobre 2013
Il cemento invade l'Italia. Se si mettono insieme alcuni numeri resi noti recentemente sul grado di cementificazione del nostro territorio - città e campagna insieme - e li si pone accanto alle innumerevoli frane, alluvioni, smottamenti che costellano periodicamente le cronache nazionali, si capisce molto di dove sta andando il nostro Paese.Si delinea un percorso. Da una parte, i terreni agricoli continuano a diminuire; dall'altra le aree urbane perdono zone verdi in favore di quelle costruite. I campi coltivati lasciano spazio agli incolti, gli incolti all'incuria e al dilagare del bosco non gestito: porta d'ingresso per le alluvioni e le frane. In pianura come in montagna e collina. In città, invece, spazi industriali dismessi vengono abbandonati oppure convertiti in aree fabbricate. Bastano pochi dati per capire.I coltivatori diretti, per esempio, parlano apertamente di un «modello agricolo» sbagliato che ha tagliato del 15% le campagne e fatto perdere negli ultimi vent'anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata. Ogni giorno verrebbe sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari), che vengono abbandonati o occupati dal cemento.Mentre, stando all'ultimo rapporto Ispra sulla qualità dell'ambiente urbano, le città italiane sono sempre più cementificate, con Napoli e Milano che hanno ormai consumato il 60% del territorio. Le 51 aree comunali monitorate dalla ricerca hanno cementificato 220mila ettari, quasi 35mila solo a Roma, con 5 ettari di nuovo territorio perso ogni giorno.Il risultato? Danni per miliardi e miliardi di euro accumulati a forza di alluvioni e una generale instabilità idrogeologica di un Paese dove, si stima, circa 5 milioni di cittadini vivono in zone a rischio. Nell'82% dei Comuni, infatti, sono presenti aree delicate dal punto di vista idrogeologico, ma la percentuale varia dal 78% della Puglia al 98% del Lazio. Tutto senza contare l'abbattimento della qualità della vita e dell'ambiente lungo lo Stivale.Certo, non è possibile pensare ad un ritorno bucolico alla natura e ai bei campi armoniosamente coltivati. Ma è anche vero che l'Italia, in pochi decenni, ha cambiato pericolosamente volto. Non è più possibile pensare ad una "rivoluzione verde" come quanto accaduto negli anni '50 e '60, ma è pur necessario mettere mano ad una grande opera di riordino del territorio. Un'operazione che coinvolga agricoltura e industria, istituzioni locali e nazionali e che avrebbe forti risvolti economici e lavorativi. Anche se non potrebbe essere realizzata in pochi mesi. Un'impresa colossale, certamente, che pur tuttavia avrebbe molto di lungimirante. È importante, da questo punto di vista, quanto stabilito dalla nuova Politica agricola comune (Pac), che prevede fondi per lo sviluppo rurale e, in particolare, la possibilità di progettare misure specifiche con programmi nazionali (per esempio specifiche misure per la gestione dei rischi).