Mi ha sempre affascinato la figura di Melchisedech, misterioso Re di Salem e sacerdote del Dio Altissimo (Genesi, 14, 18-20) che accoglie Abramo vittorioso dopo la battaglia, offre un sacrificio di pane e vino, e riceve da Abramo la decima di tutto. Me ne parlava, nei primi anni Sessanta, Raimundo Paniker, grande teologo e studioso di religioni comparate (1918-2010), allora nell'ortodossia cattolica, che in seguito preferì chiamarsi Raimon Panikkar e resta figura di riferimento, ancorché discutibile e discussa. Con qualche sospetto mi sono accostato al saggio di Nuccio D'Anna Melkitsedek (Edizioni Il leone verde, pp. 160, euro 16), temendo un'interpretazione gnostica del misterioso personaggio, e invece ho trovato un'autorevole conferma a quanto la tradizione cattolica sostiene.Melchisedech (preferisco attenermi alla grafia della neovulgata, anziché a quella complicata e forse più scientifica di D'Anna), compare in tre fondamentali passi biblici: il già ricordato Genesi 14, 18-20, nel Salmo 90,4 e nella Lettera agli Ebrei (cap. 5-6-7). Nei due versetti del Genesi, Melchisedech è chiamato "Re di Salem" e "Sacerdote del Dio Altissimo", e D'Anna spiega, in accordo con i più attendibili esegeti, che Salem non è un nome di luogo, per cui Re di Salem significa Re di Pace, come del resto confermerà la Lettera agli Ebrei. E che cosa significa "Sacerdote dell'Altissimo"? Come mi spiegava Paniker, Mechisedech è sacerdote del "Testamento cosmico", cioè della rivelazione primordiale che Dio aveva fatto all'umanità prima della dispersione dei popoli, e dunque prima dell'elezione in Abramo del popolo ebraico. Per questo Abramo lo riconosce superiore a sé e gli paga le decime, e la benedizione che egli riceve, è un'investitura che lo consacra simultaneamente Re e Sacerdote.Lo si vedrà nel Salmo 90, dove Davide, con simbologia messianica, riceve investitura regale («i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi») e sacerdotale «secondo l'ordine di Melchisedech». Il re Davide, della tribù di Giuda, manteneva infatti funzioni sacerdotali proprie e basilari benché il sacerdozio venisse legittimamente esercitato dalla tribù di Levi. E la Lettera agli Ebrei, spiegando il Sommo sacerdozio di Cristo (che, attraverso Maria, è della tribù di Giuda) lo proclamerà «secondo l'ordine di Melchisedech», cioè ricollegandolo alla rivelazione primordiale e sancendo la discontinuità col sacerdozio levitico. È tale l'importanza di Melchisedech che il suo sacrificio di pane e vino, di evidente anticipazione eucaristica, è ricordato nel canone della Messa, accanto ai sacrifici di Abele e di Abramo. Dopo la Consacrazione, infatti, il sacerdote recita: «Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno, come hai voluto accettare i doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l'oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote».Abramo, con l'investitura di Melchisedech, diventa Re di Pace, ma anche di Giustizia, che egli esercita da subito con clemenza. Infatti, restituisce ai re sconfitti (che non erano solo barbari capi cananei ma, simbolicamente, potenze del Maligno) i prigionieri e i beni confiscati, ristabilendo così l'ordine archetipo che la violenza aveva perturbato.Con piccola concessione alla numerologia, D'Anna spiega il simbolismo del numero dei guerrieri con cui Abramo ottenne la vittoria: solo 318 armigeri e, secondo Clemente Alessandrino, 318 corrisponde al nome di Gesù: 18 viene dalla Iota che vale 10, più la Eta che vale 8, a cui si aggiunge il Tau della Croce, pari a 300. E forse non è un caso che i partecipanti al Concilio di Nicea, che nel 325 consolidò le basi dottrinali della Chiesa, fossero proprio 318.Nuccio D'Anna, con sobria erudizione e impressionante bibliografia, apporta utili approfondimenti che non possono trovare posto in questa rubrica. E mi fa piacere che l'autore, pur consapevole che i moderni esegeti non attribuiscono a san Paolo la Lettera agli Ebrei, la consideri comunque di impronta paolina, come si era ritenuto fino al XVI secolo. In ogni caso, la Lettera agli Ebrei è nel canone cattolico, e, fra gli scritti neotestamentari, è forse quello teologicamente più originale e più ricco.