Un classico è un autore che si dà per letto, anche se non lo si è letto. A parte la battuta, i classici non smettono di nutrirci anche se, molto spesso, dei classici vengono tramandati aspetti che, alla lunga, si rivelano parziali. Petrarca, per esempio. Dici “Petrarca” e già siamo nelle «Chiare, fresche et dolci acque», che è una lirica stupenda ma non esaurisce tutto quello che Petrarca continua a insegnarci. Nonostante i meritevoli sforzi di Giuseppe Ungaretti per valorizzare la “linea petrarchesca” della nostra poesia, c'è il rischio di crocifiggere il poeta a pochi estratti del Canzoniere che, peraltro, di liriche ne contiene 366. Ma Petrarca non è stato solo vertiginoso poeta, era anche erudito filologo, raffinato teorico della letteratura, e uomo immerso nelle vicende del proprio tempo, con sensibilità non aliena dalla politica. Applausi, dunque, alla giovane studiosa Cecilia Gibellini che recentemente ha pubblicato una monografia inedita di Mario Pomilio, con il titolo Petrarca e l'idea di poesia (Studium, pagine 288, euro 22). Pomilio aveva studiato soprattutto i saggi petrarcheschi in latino, enucleando l'apertura del cristiano amico di Dante e di Boccaccio a un umanesimo che anticipa il Rinascimento: «L'idea della poesia come humanitas, espressione di una verità che abita agostinianamente in interiore homine e testimonia quanto di divino c'è nell'uomo, rappresenta il nucleo gravitazionale del saggio pomiliano, racchiuso nel capitolo quarto, centrale anche nella collocazione, cerniera tra il versante dei precedenti, prevalentemente orientati sulle auctorites cristiane, e quello dei successivi, giocati sul confronto con le poetiche classiche». L'estetica di Petrarca fa tutt'uno con la sua istanza etica. Pomilio: «A chi fosse stato in grado di obbiettargli che una rappresentazione delle passioni fatta in modo da suscitare una reazione e un orrore contro il male ha anch'essa una sua validità etica, il Petrarca avrebbe probabilmente risposto che una simile rappresentazione contiene già di per sé sola sufficienti attrattive perché una qualsiasi intenzione dello scrittore possa correggerle. Tra le due soluzioni, ignorare in poesia il male lasciando il libero corso alla sola virtù per combatterlo, o descriverlo per combatterlo, il Petrarca è senz'altro per la prima. È per una poesia che sani e mitighi, non per una poesia che ecciti: che resti lontana dalle rappresentazioni delle passioni, e che non vi si immerga. Nella sua istanza di un'arte humana, il Petrarca ritaglia quel che di veramente humanum c'è in noi, la parte più alta, la virtù». Quanto al Petrarca “civile”, nel 1353 egli si prodigò per la pace tra Venezia e Genova, scrivendo a entrambe le repubbliche per esortarle a por fine alle ostilità fratricide che minacciavano di spegnere i duo Italiae lumina. E lanciò quei moniti da Milano, dove visse per otto anni, guadagnandosi la stima dei Visconti. In argomento, resta fondamentale la Vita del Petrarca dell'umanista americano Ernest H. Wilkins (1880-1966), che approfondisce anche il Petrarca milanese. Insomma, rovesciando la battuta da cui eravamo partiti, un classico è un autore che non si cessa di rileggere e riscoprire.