Josif Brodskij ha conferito un sigillo di immortalità alle Fondamenta degli incurabili veneziane, scegliendole come titolo di quel capolavoro di sole 108 pagine, straripanti di bellezza, che raccoglie le indelebili impressioni veneziane del Nobel 1987 che, spentosi a New York il 28 gennaio 1996, a Venezia ha voluto essere sepolto. Il geranio dei Mendicanti è il titolo della breve silloge poetica di Mario Po' pubblicato da Marcianum Press (pagine 72, euro 9,00). “Incurabili”, “mendicanti” (il riferimento è al Rio dei mendicanti): titoli vagamente iettatori, ma profondamente veneziani perché Venezia accoglie tutto e tutto insieme, nobiltà e indigenza, spensieratezza e duolo, mentre nei canali scivolano le gondole dal 1609 obbligatoriamente nere quando il Doge decise di interrompere la dispendiosa gara a chi sfoggiava la gondola più fastosa. Mario Po' è direttore del Polo Culturale e Museale della Scuola Grande di San Marco a Venezia: gioiello del Rinascimento con una ex Sala capitolare dal soffitto intarsiato e dorato che mozza il respiro. Prima della spoliazione napoleonica, la Scuola albergava l'immenso telero di Gentile e Giovanni Bellini La predica di San Marco in una piazza di Alessandria d'Egitto, ora a Brera; la Scuola si è dovuta accontentare di una riproduzione digitale, peraltro accuratissima. Ma torniamo al Geranio dei Mendicanti: sta sul davanzale interno della finestra sul Rio dei Mendicanti dove Mario Po' l'aveva collocato sei anni fa, «piccolo, rosso, aveva il destino di una stagione»; invece non ha mai smesso di fiorire variando il colore dei suoi fiori: «Sono rosa, un rosa antico, / come i nostri tramonti adriatici d'inverno». Persistenza del vivere, resilienza della poesia. La ventina di poesie è collocata tra “Cenni di un'autocritica” e “Tre profili biografici”: «Ci sono versi scritti in mezz'ora oppure una o due ore; altri, invece, sono stati scritti in alcuni giorni, perché rivisti, ribaltati». Consapevolezza di un autore che ancora si domanda «Se sono un poeta», per concludere: «Si è, dunque, poeti, quasi nell'esercizio di un ministerium, per gioire e per soffrire, non soltanto per sé». Il libro è corredato da fotografie a colori: quattro riguardano una Via Crucis con la neve e la pioggia a Sharhorod (Ucraina occidentale); otto sono visioni notturne e diurne di Gerusalemme: «È un Muro di pietà ormai, / è tempo e parola posseduti insieme; / è anche storia però che stanca / e che declama una vittoria / senza vinti / per le mura incrollabili / di Gerusalemme, mia amata, giusta e giustificata (Sette volte a Gerusalemme)». Il racconto «si snoda come un itinerario di insoddisfazione e incompletezza vissute che assomma in sé le strade di una ricerca spirituale, di un orizzonte umano e, persino, di una vitalità realizzativa che conduce invariabilmente allo stesso pozzo samaritano: “Signore, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”».