Maria, ridotta al silenzio in una prigione bielorussa
Dallo scorso luglio i portoni delle prigioni della Bielorussia si sono spalancati per 131 prigionieri politici, a gruppi di circa 30, per quattro volte. L’ultima il 16 settembre. Tatsiana Khomich ha sperato che nella roulette del presidente Lukashenko fosse finalmente stata inclusa anche la sorella. Purtroppo così non è stato. Maria Kalesnikava langue dietro le sbarre da 4 anni ed è diventata suo malgrado uno dei simboli dell’opposizione al regime autoritario bielorusso.
Maria ha 42 anni, è stata prelevata nel 2020 da agenti mascherati durante una protesta di piazza a Minsk contro la falsificazione delle elezioni presidenziali: caricata su un van, portata al confine con l’Ucraina e minacciata di morte se si fosse rifiutata di attraversarlo. Insomma, la volevano fuori. Lei si è opposta all’esilio, ha stracciato il passaporto e ha affrontato il processo, dove, chiusa in una gabbia, ha sfidato la giuria ballando e ridendo e facendo il gesto per il quale è conosciuta in tutto il mondo: formando con le mani la sagoma del cuore. La condanna per Maria, musicista e direttrice d’orchestra, da molti anni residente in Germania ma appassionata di politica tanto da tornare in patria per supportare l’opposizione alle presidenziali del 2020, poi vinte da Lukashenko con elezioni truccate, è stata durissima: 11 anni di carcere per una serie di capi d’accusa tra cui la cospirazione.
Maria Kalesnikava - Ansa
Capelli cortissimi platinati, labbra accese di rosso, occhi chiari, Maria è una donna coraggiosa, destinataria di numerosi riconoscimenti internazionali per il suo impegno per la libertà e i diritti nel suo Paese, compreso il Premio Sakharov del Parlamento Europeo per la libertà di pensiero nel 2020. Oggi però nessuno sa com’è il suo aspetto, perché le ultime notizie dirette risalgono al febbraio 2022, quando la famiglia ha ricevuto una lettera, mentre le buste indirizzate a lei dai familiari e dai sostenitori di tutto il mondo vengono fatte a pezzi davanti ai suoi occhi.
Dal 2022 è alloggiata nella colonia penale di Homel, nel sud-est della Bielorussia, dove non le permettono di avere alcun contatto con i familiari. La sorella Tatsiana però ha saputo che Maria, chiamata anche Masha, sta deperendo in maniera preoccupante: il suo peso è sceso a 45 chili, troppo poco per una donna alta 1 metro e 75 centimetri, e ha un’ulcera allo stomaco, il che fa pensare che il suo organismo non tolleri il cibo ricevuto in prigione. Da informazioni racimolate da varie fonti, comprese compagne di prigionia, la famiglia ha saputo che Maria è chiusa in una cella minuscola, con un buco sul pavimento come “toilette”.
«Penso che sia un momento critico – ha detto a metà settembre Tatsiana in una intervista all’agenzia Reuters da una località estera –, perché nessuno può resistere a lungo in queste condizioni. Maria viene torturata psicologicamente ma anche fisicamente». In un video appello, Tatsiana ha detto che non c’è «molto tempo per salvare Maria». Nelle carceri bielorusse languono ancora oltre 1.200 prigionieri che le organizzazioni per i diritti umani qualificano come politici. Naturalmente il presidente Lukashenko nega che si tratti di dissidenti ridotti al silenzio. Tra le figure più note, oltre a Maria Kalesnikava, c’è il Premio Nobel per la pace 2022 Ales Bialiatski. Tutti coloro che sono stati rilasciati finora hanno dovuto presentare una richiesta di grazia. Maria scenderebbe mai a patti? «Non ne sono sicura – risponde Tatsiana – ma spero che se le fosse data questa opportunità, ne approfitti».
Tatsiana è molto diversa da Maria: capelli neri ricci, occhi scuri, oggi è la coordinatrice di un Comitato di rappresentanza dei prigionieri politici bielorussi; gira l’Europa per dare voce a chi non può fare udire la propria e per sensibilizzare sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese, alleato della Russia di Putin. Per fare sentire Maria meno sola, la sorella ha lanciato una campagna di scrittura di lettere. In attesa che le porte della prigione si aprano anche per lei.