La vidi a Buenos Aires in un ricevimento di italiani. Aveva il sorriso più ironico mai incontrato. Toccai la sua mano che aveva alleviato la lunga cecità di suo marito Borges. Le mandai una mia poesia su di lui. Lei mi suggerì di cambiare il titolo. Così feci. Ho provato per lei un affetto di rimbalzo, dovuto all’ammirazione per l’uomo che lei aveva amato e accudito. Morta lei, sento che Borges, il mio preferito, sprofonda ancora di più nel cimitero di Ginevra. Non so se è stato affannoso per lei stare accanto a un uomo che era anche una biblioteca. Immagino invece come sia stato arduo per lui essere all’altezza dell’ammirazione di Maria. Accorgersi della di lei indulgenza per le sue debolezze. Ricevere da lei la devozione sapendo, o almeno sospettando, di non meritarla. Gli insuperabili sanno la loro insufficienza rispetto alle premure di una donna. Una notte a Buenos Aires passai sotto una casa segnata da una scritta: “Aquì vivìo…”. C’era il nome di lui. Spero che a quella targa venga aggiunto quello di Maria.
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