«Bisogna lavorare quando si sente l'ispirazione, non lasciare passare il momento. L'idea poi sfiorisce, l'emozione si fiacca», mi diceva un giorno Manzù mentre creava nella creta i suoi meravigliosi pezzi per la porta di San Pietro. Quante volte ho trovato giusta questa verità perché raccontare ciò che si è visto è come creare qualcosa in una materia che prende senso e forma nella nostra capacità di guardare alle cose che succedono. Scrivere è come cercare accordi su un piano. Se si lavora solo per se stessi non ci si salva, come quando si scrivono pagine che altri reputano intelligenti e invece risultano ovvie e banali quando le rileggi. Non dimenticherò la fortuna di aver incontrato gente di valore sia nel campo della politica, come dell'arte e della poesia senza averne nessun merito personale, ma solo per fortuna. Ricordo quel giorno quando la volta bianca di una vecchia chiesa poggiava leggera sull'abside di mattoni e arazzi invecchiati coprivano di color sabbia le due pareti, una di fronte all'altra. Il resto era opera delle mani di Manzù. Un certo disagio era nell'aria e si faceva largo tra il riso e le chiacchiere quasi tutte superflue di un pubblico distratto davanti alle figure di pietra mentre mi sembrava che ci fosse più vita sotto i corpi di creta appena usciti dalle sue mani. E pensai quando ti sei accorto di avere questo dono tra le dita cosa hai fatto, hai gridato? C'è un momento nel quale si riconosce il proprio potere, si riconosce il proprio tesoro, lo si vede come in uno specchio d'acqua e non c'è altro al mondo che interessi. È quello il momento di studiarsi senza pietà, abbandonare gli acuti che a volte sfuggono anche mentre si scrive invece di ascoltare chi parla piano perché non ha più voce. Questo modo di guardare ai fatti del mondo lo vidi usare un giorno nella mia casa di montagna quando Ermanno Olmi, un altro grande, venne a girare un particolare film sulla vita di mio padre. Gli attori non dovevano assumere la maschera degli uomini di quel tempo già trascorso da anni, ma solo interpretarne l'animo, il sentimento, la realtà del loro vissuto mediante i toni caldi, duri, difficili delle letture che il regista proponeva loro. Noi di famiglia che avevamo ottenuto il permesso di essere presenti ce ne stavamo in silenzio lungo la parete di legno che divide una stanza dall'altra. Alla sera per superare l'emozione si andava a preparare la polenta e a bere il vino nei vecchi bicchieri che la nonna ci aveva lasciato. Gli attori di cinema e di teatro trovarono singolare restare in silenzio sotto il cielo d'agosto mentre il profilo delle montagne andava lentamente a sparire e una voce si permetteva di raccontare la sua esperienza di vita tra le rocce e il bosco buio che avevamo di fronte. Olmi che sapeva descrivere l'essenza di un uomo con la stessa varietà di un paesaggio ascoltava in silenzio. Brevi giorni intensi dove il modo poetico di vedere la vita di questo grande regista aveva dato a tutti la possibilità di arricchire il proprio pensiero. «Arrivederci, mi disse pochi passi prima di accompagnarmi al cancello della mia casa. Non voltarti».