La Mangrovia è una pianta legnosa, capace di crescere e resistere in qualsiasi condizione e dare per frutto un pallone che diventa simbolo di speranza. Perché un pallone, a volte, può anche rimbalzare da un cuore all'altro e trasformare l'odio in amicizia fraterna se si è parte di una squadra come la Mangrovia. Un piccolo miracolo napoletano accaduto in uno degli ultimi campi di periferia, a San Giovanni a Teduccio. Sesta municipalità partenopea, per dirla con Edoardo Bennato, «seconda stella a destra, questo è il cammino». Un cammino sporcato dal sangue delle guerre tra clan rivali di cui Ciro e Peppe sono testimoni e vittime allo stesso tempo. Il padre di uno è un boss che ha ucciso l'altro genitore, il padrino rivale. Un regolamento di conti nell'eterna faida di Gomorra. «Ma tra Ciro e Peppe non c'è mai stato rancore. E dopo ogni gol, corrono e si cercano per abbracciarsi», racconta Carmela Manco, giovane laica consacrata, “presidentessa” onoraria della Mangrovia, il club della Onlus “Figli in famiglia” che ha sede nella parrocchia Maria Immacolata Assunta in Cielo. Ciro e Peppe all'inizio, come la maggior parte degli «scugnizzi pazzi» della squadra passavano il tempo a picchiarsi in campo. Ma un giorno Carmela ha urlato: «Siete dei fessi? Siete tutti nella stessa barca, se non vi aiutate fra voi, chi lo deve fare?». Quello è stato il vero fischio d'inizio. La Mangrovia insiste e resiste ad ogni stagione, anche in questo Messico napoletano.