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Machado: un «grande» misconosciuto perché la sua poesia è troppo «facile»

Alfonso Berardinelli sabato 27 marzo 2010
Antonio Machado (Siviglia 1875-Collioure 1939) è uno dei più grandi poeti del Novecento. Ma da circa mezzo secolo non se ne parla. Studiato e tradotto da Oreste Macrì, analizzato da Cesare Segre, l'autore di Soledades e di Campos de Castilla non è riuscito ad entrare nei nostri discorsi sulla poesia moderna e nelle teorie del linguaggio poetico. Machado è sembrato troppo semplice e diretto, troppo tradizionale, troppo prosastico. La sua naturale ma raffinata saggezza lo ha tenuto lontano dalla gestualità delle avanguardie. Fra le massime e le arguzie raccolte in Juan de Mairena, alter ego del poeta, ce n'è una che aiuta a capire molte cose: «In politica, come nell'arte, gli amanti delle novità scagliano pietre contro gli originali».
C'è poco da aggiungere. O invece si potrebbe scrivere un intero trattato etico-estetico sulle deformazioni e gli equivoci della modernità. Gli «amanti delle novità» sono diventati presto i nuovi conformisti. La cosa che più li disturba sono gli individui veramente e singolarmente originali (come lo stesso Machado) che non si adeguano alle cosiddette e malintese «leggi della Storia» (o della Moda). In meno di due righe Machado ci segnala che le idee di Baudelaire («Au fond de l'inconnu pour trouver du nouveau!») e di Rimbaud («Il faut être absolument modernes») avevano già creato una loro retorica all'inizio del Novecento. Ma novità non è necessariamente originalità. La ricerca in massa della novità (infrangibile regola tecnologico-mercantile) aveva cominciato a perseguitare l'originalità dei singoli.
Il Meridiano appena uscito, con Tutte le poesie e prose scelte di Machado a cura di Giovanni Caravaggi, ci ricorda che la modernità è monolitica solo ideologicamente, perché di fatto non lo è mai stata. Ogni presente è un palinsesto di strati temporali eterogenei: dato che il passato, se esiste davvero, esiste ora e ancora, non meno nuovo del nuovo.