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Ma votare è un dovere o un obbligo? Serve convinzione, non basta la legge

Andrea Lavazza martedì 12 marzo 2024
Caro Avvenire, domanda secca: esiste una differenza tra dovere di votare e obbligo di votare? Lo chiedo perché la conduttrice di “Terza pagina” ha affermato che essendo il voto alle elezioni un “dovere, ma non un obbligo”, è consentito non votare. Non andare a votare avrebbe la stessa “dignità” del voto perché è l’unica possibilità concessa a chi non si riconosce in nessun candidato. Ma è davvero così? Marina Del Fabbro Trieste Cara professoressa Del Fabbro, lei dice anche: chi apprezza un candidato lo vota, chi non ne trova nessuno meritevole lascia la scheda bianca; ma tutti dobbiamo andare ai seggi. Concordo con lei
(dall’Abruzzo domenica
l’ultimo campanello d’allarme). Tuttavia, come spesso accade, molto dipende dai contesti. Partiamo dalla distinzione fra dovere, si suppone morale, e obbligo giuridico. Il primo riguarda una dimensione di convincimento personale, di motivazione civica o etica, che supera il calcolo razionale. La nostra singola preferenza non fa mai la differenza, per cui non vale di sobbarcarsi la fatica di contribuire alle elezioni. Ci sono però buone ragioni per compiere un gesto di partecipazione che unisce la comunità, dà legittimazione alle istituzioni e indica il valore riconosciuto delle procedure democratico-rappresentative. Diverso è il piano normativo, dove conta la prescrizione da rispettare al di là delle convinzioni. Fino al 1993 anche in Italia il voto era obbligatorio, eppure l’astensione non era davvero sanzionata (esistevano al massimo elenchi dei “reprobi”). Oggi, per fare un esempio, ritirare la scheda è imposto per legge in Belgio (dove alle Europee del 2019 l’astensione è stata al 12%) e in Grecia (dove però ha raggiunto il 42%). Non dipende quindi solo dalle (ipotetiche) sanzioni. In Australia, dove le multe sono ancora in vigore, la partecipazione è in calo tra i giovani. Pertanto, sempre bene votare, con le opzioni consentite, scheda intonsa o nulla compresa. Questo nei Paesi liberi. Ma in Iran o (fra pochi giorni) in Russia disertare le urne rappresenta un forte segnale di disapprovazione dell’intero sistema, una modalità che i politologi leggono come forma di espressione dei cittadini quando essi non hanno accesso a una competizione politica libera e trasparente. Perché allora il 35% dei nostri connazionali non ha votato alle Politiche del settembre 2022? La mia lettura è che pesino insieme disinteresse e declinante integrazione sociale. Per molti motivi, le persone non tengono in considerazione la sfera pubblica (accadeva pure in passato), nello stesso tempo non si sentono più vincolate ai riti collettivi (che invece erano rispettati, nello specifico per effetto dell’appartenenza a forti culture valoriali e partitiche). Rialimentare e ravvivare il senso del “dovere civico” all’esercizio del voto, come definito dall’articolo 48 della Costituzione, è un compito che spetta a tutti noi. Per non lasciare erodere le fondamenta della nostra convivenza. Viene in mente la splendida canzone “Le elezioni” di Giorgio Gaber (1976): «È proprio vero che fa bene / Un po’ di partecipazione / Con cura piego le due schede / E guardo ancora la matita / Così perfetta e temperata / Io quasi quasi me la porto via / Democrazia». © riproduzione riservata