La frase «basta una tastiera per insultare e pubblicare sentenze», inserita da papa Francesco nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo dello scorso Venerdì Santo, dà la misura definitiva di quanto, in pochi anni, quel che accade nell’ambiente digitale si sia preso uno spazio significativo anche nella vita della comunità credente. Non a caso Andrea Galli l’ha commentata su questo giornale (
bit.ly/43Jl2Zk) dialogando con don Ambrogio Mazzai, prete e tiktoker. Da un lato si vanno delineando vari profili di “missionari digitali”: donne e uomini che annunciano il Vangelo, ascoltano e accompagnano i fratelli-follower con originalità e creatività nei linguaggi e con le tecniche proprie dell’ambente digitale; di loro proporrò sul sito di “Avvenire”, dalla prossima settimana, una galleria (quasi uno “spin-off” di questa stessa rubrica). Dall’altro in misura sempre maggiore le tecnologie digitali si propongono anche come aiuto alla vita spirituale, in particolare alla preghiera personale.
Le app italiane sulla preghiera
Sul blog “Vino Nuovo” (
bit.ly/4cWWrEH) Gilberto Borghi, raggiunto sul suo smartphone dalla pubblicità dell’app a pagamento “Hallow”, ne ha preso spunto per condurre un’utile ricognizione sulle app italiane «che offrono servizi connessi alla preghiera cattolica». Ne ha contate oltre 140 e le ha anche classificate in quattro categorie: quelle «che si limitano a trasferire sul web il testo biblico», quelle «che hanno trasferito on line le preghiere classiche tradizionali», quelle «che aiutano la preghiera personale mirando alla condivisione tra membri della medesima “comunità”» e quelle (su cui l’autore esprime qualche perplessità) che, rispetto alla preghiera personale, «intendono essere una specie di accompagnamento metodologico e spirituale». Una menzione per “Pregaudio” (
bit.ly/3TNrVUU): «Nata da una comunità interparrocchiale di Riccione per pubblicare, ascoltare e leggere preghiere, seguire canti e musiche meditative, oltre al Vangelo del giorno», in tre mesi «ha avuto quasi 40.000 download». È gratuita, si sostiene con le donazioni. In parallelo a queste e alle altre forme che intrecciano fede, Chiesa e digitale si registrano periodicamente, nella comunità ecclesiale, inviti a praticare forme di astinenza dalla Rete e dai social network, in particolare nei tempi liturgici forti. Ad esempio, un post di Daniel Esparza comparso su “Aleteia” anglofono (
bit.ly/3xkjvfX) a Quaresima ormai avanzata, mentre riconosce il valore della tecnologia per il cammino di fede, suggerisce di attestarsi su un «sano equilibrio», per non finire «disconnessi da sé stessi». La chiama «disintossicazione digitale per l’anima» e la descrive – rimanendo interno alle forme espressive che la Rete predilige – in quattro passi: pianificare «il tempo senza schermi», spegnendo a orari prestabiliti le proprie connessioni e dedicando quel tempo al proprio spirito; creare nella casa «spazi sacri» privi di tecnologia; abbracciare «il potere del silenzio», che «ci permette di ascoltare veramente la voce di Dio»; dare priorità «alla connessione personale», «faccia a faccia con i fratelli nella fede».
Un “apostolato” sulla Rete
Ho trovato prossimo a questi consigli, e impreziosito dal vissuto che ci sta dietro, un recente post di Cristina Zenoni (
bit.ly/3vDMFGu), autrice dello storico blog “Stile di vita di una folle donna cattolica” e attiva anche sull’omonimo account Instagram (
bit.ly/3J5LZNa, oltre 8mila follower). Il tema del post è la «tentazione di chiudere tutto», ovvero il blog e l’account, avvertita con tanta forza da «portarla a prendere una pausa da Instagram» per una settimana. «Fare apostolato sui social non è semplice, non lo è se lo fai come vocazione per cui metti la tua vita a disposizione», dice Zenoni, spiegando le difficoltà che incontra con «quelli che mi fanno mettere in dubbio ciò che condivido, come lo faccio» e perché; con «la fugacità delle interazioni» e l’incoerenza delle richieste, tra chi lamenta troppi post, o troppo pochi, o troppo incentrati su certi temi (come la malattia che l’autrice sta attraversando: e ci mancherebbe che non desiderasse parlarne!) a discapito di altri. Di qui la crisi e la scelta di impegnare il tempo della Settimana Santa in un discernimento intorno alla propria attività digitale. Questo interrogarsi davanti a Dio, confortata dai follower stessi (dalle follower, per meglio dire), ha consentito alla «folle donna cattolica» di vincere la tentazione: «Non chiuderò il profilo, andrò avanti», magari «con un fine ricentrato» ma non abbandonando un «apostolato che è parte integrante della mia vita».
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