Sono andato a prendere un caffè a casa di Gemma Capra, la vedova del commissario Calabresi, ucciso in un agguato il 17 maggio del 1974. Per lei il mese di maggio è pieno di significati e il 22, giorno di Santa Rita, Gemma si è rispecchiata perché, come insegnò la santa di Cascia, l'odio e la vendetta non possono determinare il resto della vita, soprattutto dei propri figli. Alla fine del dialogo mi ha poi confidato quello che nell'intervista trasmessa in un podcast del figlio Mario, aveva detto: «Non rinnego nulla del percorso della mia vita e mi sento in pace, anche perché questa è stata la strada per ritrovare il dono della fede». Ora, questa riflessione di una persona che ha fatto tesoro di quella che si chiama un'esperienza, mi ha riportato all'oggi, dove si parla di una libertà ritrovata, simboleggiata dal caffè al banco o dal coperto dentro a un ristorante. Si riparte, ma che misera cosa sarebbe il bere per dimenticare o lo strafare per affermare una conquista che è solo frutto di un atteggiamento collettivo. Cosa rimane invece di positivo, dopo questo periodo dove ciascuno ha dovuto fare i conti col limite? La risposta a questa domanda, ineludibile, è la condizione per poter ripartire veramente, con una solidità di coscienza che è il vero antidoto per non vivere con rabbia gli eventi della vita, che disegnano, anche in chiaroscuro, la “nostra” esistenza. Le cronache locali dei giornali di ieri erano tutte dedicate alle riaperture, ma i pubblici esercizi sono in apprensione perché non si troverebbe il personale. Sono affaticati i cuochi, dopo mesi di espedienti e l'impossibilità di programmare persino una spesa. E in più devono scontrarsi col paradosso che in tempo di crisi gli si presenta il conto di una manovalanza che non c'è più, perché il lungo periodo di inattività ha portato ad adattarsi a fare altri lavori, che magari vengono considerati più sicuri, come fare le consegne per Amazon, si legge. E l'Italia, vista dal fronte della ristorazione, sembra qualcosa da ricostruire, ma così per tanti altri settori che difficilmente rialzeranno la testa coi sussidi. Il tempo sembra scaduto anche per questa politica di respiro corto, sembrano dirci dall'Europa, e forse è arrivato il tempo degli investimenti, a patto che il sistema bancario sia pronto a dare credito, superando una lentezza endemica. «Cosa ci insegna questo periodo?» è dunque una domanda che merita un'analisi anche della Cabina di regia, perché la solidità di un Paese che diventa cosciente dei mattoni su cui ricostruire, non si materializza a spot. Ma con una strategia.