La decisione della Fiera nazionale del tartufo d'Alba di spostare di una settimana l'inaugurazione ha provocato un passaparola non indifferente. D'altronde non c'è tartufo, ma neppure ci sono i funghi, e ora che sta per finire la vendemmia, figlia di un'estate troppo siccitosa che ha portato a una contrazione della produzione, si contano le rese del riso, anch'esse più scarse rispetto all'anno passato. Della scarsità di grano a livello mondiale si parla da un mese e fra i rincari in arrivo, dopo luce, gas e benzina, ci sarebbe presto anche la pasta, come in generale un po' tutte le materie prime: alimentari e non solo. Di contro abbiamo imparato a sprecare un po' meno, almeno a leggere i dati dell'International Observatory on Food and Sustainability, secondo cui – proporzionalmente rispetto agli Stati Uniti – in Italia ogni settimana si butta via un terzo di cibo in meno. Con il lockdown sembra che da noi gli sprechi si siano ridotti dell'11%, segno evidente che la spesa oculata e meno distratta porta i suoi risultati. Il tema dei cambiamenti del clima resta comunque all'ordine del giorno ed è evidente che ora serve un radicale cambiamento della politica, che faccia tesoro della difficile coesione sociale raggiunta di fronte all'emergenza del Covid. Ma può essere la "dittatura dell'emergenza" a dettare le regole del gioco? Questa espressione l'ho letta in un articolo di trent'anni fa firmato da Franco Piccinelli, immaginifico giornalista e scrittore di Neive presso Alba, ricordato nel suo paese proprio la settimana scorsa: «Quando non ci sarà più la dittatura dell'emergenza – scriveva Piccinelli – mi auguro si sia ancora in tempo a dire che si è scherzato, che le frane saranno arginate, le gallerie messe in sicurezza, i treni e i binari li vedremo consolidati al loro posto, nella loro funzione». All'epoca la protesta di Piccinelli, figlio di un capostazione, era per i tagli alle linee ferroviarie, ma quando ha parlato di frane e di gallerie mi è subito rimbalzato alla mente il tema di un Paese fragile, anch'esso in balia dei cambiamenti del clima. Sembra quasi che dopo il Covid si stiano sgretolando tante altre certezze oltre a quelle sanitarie e soprattutto che faccia capolino la necessità di reagire allo spreco non solo alimentare, ma delle opere realizzate in passato e destinate poi all'abbandono in nome di una modernità vaga. Le recenti elezioni in Europa, e anche quelle amministrative imminenti nelle principali città italiane, possono portare a un cambiamento, ma il timore che si profila è la mania della discontinuità fine a se stessa: come se il valore da perseguire fosse una strana "creatività amministrativa" rispetto invece all'autentico bene comune. Ma si stanno rendendo conto che non c'è più tempo?