Ma la vita non è mai subordinata alla politica
Ora, per quanto entrambi i pensatori facciano un excursus storico dell'idea di vita - nel mondo classico - la loro analisi è altrettanto connotata di una lettura ideologica, cioè è legata a una precisa lettura polemica, a un discorso che nasce "contro". Sono due filosofi militanti, e questo ha senso in una storia del pensiero dialettico, però guai a scambiare queste analisi con una ontologia. Cioè non se ne può dedurre una idea completa di cosa è la vita e cosa è la vita degli umani e degli esseri viventi. Nel loro discorso c'è la volontà precisa di negare che una cosa del genere esista. Quando si parla di vita per loro è sempre in chiave ideologica, la vita è qualcosa di subordinata alla politica. Al di fuori della "polis" non c'è vita, non esiste una natura, un mondo biologico indipendente dalla politica.
Si può essere d'accordo o meno, ma in fin dei conti la loro analisi ricade in una vecchia idea marxiana di sovrastruttura. L'unica verità è quella della economia e della politica, il resto è sovrastruttura. I Foucaultiani, gli agambeniani della domenica, oggi contestano che esista una vita che ha le sue ragioni al di là delle loro convinzioni politiche. Gli stessi che sono disposti a difendere i diritti degli animali non riescono a comprendere che questi presuppongono una idea della priorità della vita sulla politica. Se qualcuno crede che il diritto a decidere sulla propria salute sia un verbo assoluto che travalica le responsabilità collettive nei confronti degli altri della polis e della natura, allora non deve sottomettersi alle leggi umane.
Questa concezione che si autodefinisce libertaria e anarchica nulla a che fare con la storia dell'anarchia. Uno dei suoi principali esponenti, Paul Goodmann, affermava negli anni 70 del Novecento che l'anarchismo è anzitutto amore per un ordine che consenta una convivenza armonica. E non è un caso che il suo riferimento fosse il "mutuo appoggio" di Kropotkin.
Foucault e Agamben sono vecchi pensatori che continuano a ignorare che un'analisi che sottopone la vita alla politica non è diversa da qualunque regime di autorità. O si accetta che la vita, gli esseri viventi, gli animali, le piante, i sistemi viventi abbiano una autonomia che non possiamo mai ridurre ai nostri unici criteri, o la via dell'estinzione è aperta. Che poi i diritti della politica debbano condurre all'estinzione non è qualcosa di nuovo, lo pensavano proprio i maestri della filosofia del Novecento a cui i nostri due si ispirano. Oggi chi si arroga il diritto individuale di mettere a repentaglio la vita altrui, umana o animale che sia, ricade in una logica vecchia che è convinta che la vita venga creata nelle assemblee e nelle manifestazioni e che non esista di per sé.